Esecuzioni, rappresaglie, eccidi

 

Un triste primato

Bologna è senz'altro una delle città che hanno avuto il più alto numero di partigiani e detenuti politici fucilati dopo essere stati prelevati dal carcere o da una caserma in cui si trovavano a seguito di una loro cattura da parte delle forze militari e di polizia nazifasciste. Solo Trieste, con le forse migliaia di eliminazioni eseguite alla Risiera di San Sabba, e Roma, per effetto delle numerose esecuzioni compiute a Forte Bravetta e, soprattutto, del grande eccidio delle Fosse Ardeatine, superano il capoluogo emiliano in questo triste primato.

1)

Le ragioni dell'alto numero di vittime di esecuzioni in territorio bolognese sono da ricercarsi innanzitutto nell'importanza assunta dal movimento di resistenza emiliano e romagnolo tra la primavera e l'estate del 1944, per fronteggiare il quale, come altrove, vennero messe in atto feroci rappresaglie, fatte eseguire per lo più dall'Aussenkommando Bologna della Sipo-SD, che avendo fino all'estate competenza regionale fece affluire nelle sue celle e nel carcere bolognese prigionieri provenienti anche dalle province vicine. Luogo di esecuzione fu soprattutto il Poligono di tiro di via Agucchi, in cui nel corso del 1944 furono uccisi non meno di 130 partigiani, ma nell'estate anche nelle principali piazze cittadine, e in particolare nella centralissima piazza del Nettuno, altre decine di partigiani trovarono la morte dopo esecuzioni sommarie perpetrate da militari fascisti che attraverso l'esposizione dei corpi martoriati volevano scoraggiare la crescente solidarietà popolare a chi si opponeva attivamente al regime di occupazione. L'apice della politica di rappresaglia è raggiunto tra l'agosto e il settembre 1944, quando anche la risalita del fronte dalla Toscana e dall'Adriatico induce ad una più vasta mobilitazione partigiana in vista di una possibile liberazione del capoluogo.

L'arrivo degli alleati rimarrà per il momento una illusione e alla mobilitazione estiva subentrerà una improvvisa fragilità del movimento partigiano bolognese a seguito dell'arresto invernale dell'avanzata alleata a solo pochi chilometri dalla città, proprio nel momento in cui le formazioni della Resistenza si trovavano già esposte, in attesa dell'ordine di insurrezione generale. Ai combattimenti a porta Lame e alla Bolognina, del 7 e 15 novembre, seguiranno feroci rastrellamenti e retate che fino alla vigilia della Liberazione trascineranno in carcere e in altri luoghi di detenzione altre migliaia tra partigiani, loro fiancheggiatori e civili rastrellati, che selezionati dagli ufficiali della Gestapo in base alla loro presunta «pericolosità» saranno avviati a fucilazione, alla deportazione in lager SS, o a lavori di fatica per le opere di difesa.

Complessivamente, sono oltre 370 i partigiani e i detenuti politici che durante i venti mesi di occupazione tedesca risultano essere stati prelevati e fucilati in località del territorio bolognese, senza conteggiare quelli uccisi in combattimento o passati per le armi subito dopo la cattura - quindi prima di una eventuale detenzione - a seguito di scontri a fuoco o a margine di rastrellamenti, che aggiungerebbero al tragico bilancio altre centinaia di vittime. Di quei fucilati circa i due terzi furono uccisi negli ultimi cinque mesi di occupazione, dal novembre 1944 in avanti, nella nuova fase quindi che si aprì con l'arresto del fronte appenninico e l'annuncio radiofonico del cosiddetto «proclama Alexander» del 13 novembre 1944.

 

Dalle rappresaglie annunciate agli eccidi occultati

Se fino all'autunno 1944 le esecuzioni di detenuti avevano avuto il carattere prevalente di rappresaglia, rese note da manifesti e comunicati sulla stampa, le fucilazioni del periodo successivo avvennero invece quasi sempre in segreto, in genere lasciando credere ai parenti una deportazione al nord, come per parte dei detenuti effettivamente avvenne. Non a caso i due grandi trasferimenti verso il campo di Bolzano, del 22 dicembre 1944 e del 28 febbraio 1945, avvennero alla vigilia di una fucilazione.

2)

Solo dopo la Liberazione e il ritrovamento dei luoghi di occultamento delle salme si venne a conoscenza delle dimensioni assunte da tale pratica di eliminazione silenziosa degli oppositori catturati. Appare questa come una specificità del territorio bolognese, o meglio dell'area bolognese-ferrarese e romagnola, ovvero della zona sottoposta al controllo dell'Aussenkommando Bologna della Sipo-SD, la Polizia di Sicurezza e Servizio di Sicurezza tedeschi - di cui facevano parte anche gli uffici della Gestapo - diretto fino all'estate 1944 dal SS-Hauptsturmführer (capitano) Julius Wilbertz,  poi dal pari grado Hugo Gold, mentre a capo della Polizia di Sicurezza negli stessi periodi l'SS-Obersturmführer (tenente) Herbert Bieber sarà sostituito da Karl Weissmann. Non pochi degli ufficiali e graduati in organico all'AK-Bologna avevano in precedenza servito nell'Aussenkommando Roma, e avevano partecipato materialmente alla carneficina delle Fosse Ardeatine. Alcuni di essi poi, come il giovane sottufficiale SS Gustav Pustowka, sembrano essere divenuti dei veri specialisti nell'eliminazione di detenuti, avendo questi partecipato, tra l'altro, ad esecuzioni a Roma, poi a Forlì e più tardi a Ferrara, in operazioni che anticiparono le stesse tecniche di eliminazione e occultamento che verranno poi adottate, su scala maggiore, negli eccidi di partigiani a Sabbiuno di Paderno, San Ruffillo e Rastignano di Pianoro, nonchè presso Imola.

La scelta degli ufficiali Sipo dell'Aussenkommando-Bologna di far «scomparire» dal carcere senza pubblicità i partigiani catturati e individuati come responsabili di attacchi armati alle forze tedesche matura definitivamente entro il dicembre 1944. In ottobre già la fucilazione dei partigiani feriti nella battaglia di Santa Maria di Purocielo, e dei loro medici e infermieri, catturati nella canonica di Cavina, avviene al Poligono senza che ne sia data comunicazione con manifesti o sulle pagine de «Il Resto del Carlino». In novembre la fucilazione al Poligono di 19 partigiani e detenuti politici provenienti da vari arresti è forse comunicata - ma non se ne conserva copia - solo attraverso un manifesto o un elenco, ma che ha scarsa diffusione. Una lista di nomi, comunque incompleta, dei fucilati nella prima esecuzione a Sabbiuno di Paderno, avvenuto il 14 dicembre 1944, appare sui muri di Bologna, secondo diverse testimonianze, ma non sui quotidiani. La seconda esecuzione in collina del 23 dicembre invece non è oggetto di alcuna comunicazione, così come da lì in avanti tutte le esecuzioni che, trascorsa la pausa del gennaio 1945, con cadenza quasi settimanale colpiranno i detenuti prelevati da San Giovanni in Monte, portati prima davanti al rudere della piccola stazione di San Ruffillo - complessivamente 94, in sei date tra il 10 febbraio e il 21 marzo 1945 - poi nell'aprile sotto l'alta massicciata ferroviaria a Rastignano di Pianoro, dove negli anni Settanta furono esumati dei corpi che potrebbero essere almeno parte dei 39 detenuti prelevati da San Giovanni in Monte il 4, il 9 e il 17 di quel mese. In entrambi i teatri di esecuzione saranno dei crateri di bomba ad accogliere le salme, poi coperte sommariamente con un leggero strato di terra, così come era già accaduto all'aeroporto di Forlì nel settembre 1944, poi vicino al Caffè del Doro a Ferrara nel novembre, e nel podere La Rossa, alla periferia di Imola, nel merzo 1945. A Sabbiuno erano stati invece i calanchi a fornire un ideale luogo di occultamento dei corpi dei 58 fucilati tra il 14 e il 23 dicembre 1944.

 

«Tutte le carceri devono essere pulite». Le stragi degli ultimi giorni

Anche nel Bolognese alla vigilia dell'arrivo degli Alleati lo svuotamento delle carceri ordinato dai comandi tedeschi fu accompagnato dalle ultime efferate stragi. La mattina del 12 aprile 1945 le brigate nere di stanza nella Rocca di Imola, dove aveva sede il carcere mandamentale, lo svuotano dei detenuti ancora presenti, inviandone la maggior parte a Bologna, dove saranno detenuti a San Giovanni in Monte, ma tenendone in disparte diciassette - forse quelli ritenuti più compromessi con il movimento partigiano - che quella sera condurranno nel cortile della fabbrica di conserve alimentari Becca e uccideranno, dopo averli sottoposti ad un ulteriore supplemento di torture tanto crudeli quanto inutili, gettandone poi i corpi in un pozzo le cui pareti verranno fatte crollare a colpi di bombe a mano nel maldestro tentativo  di nascondere il misfatto.

Pochi giorni dopo tocca a Bologna, dove secondo gli ordini del comandante della Sipo-SD, «tutte le carceri devono essere pulite». Il 17 aprile inizia una operazione di selezione sui detenuti di San Giovanni in Monte che entro il 19 porterà allo svuotamento delle sue celle. Alcune centinaia di prigionieri sono inviati alla caserma dell'artiglieria dove sono suddivisi in varie squadre di lavoro per essere inviati allo scavo di trincee nei dintorni della città o verso il Po. Per i politici «di una certa importanza» invece, la destinazione sarà la fucilazione: saranno in dodici, ormai a poche ore dalla Liberazione, a scomparire in qualche fossa. A tutt'oggi risultano ufficialmente dispersi. Tra loro anche il vice comandante della brigata «Bolero», il famoso «Brunello», a cui i tedeschi davano la caccia da mesi, ma che quando catturano, non riconoscono.

 


FOTO:

1) Muro di Piazza Nettuno a Bologna, dopo la Liberazione, con foto di partigiani uccisi; diventerà successivamente il Sacrario attuale.

2) Ritrovamento all'inizio del maggio 1945 di resti umani affioranti dal terreno smosso da esplosioni di bombe sul luogo delle esecuzioni davanti alla stazione ferroviaria di San Raffillo, nella periferia di Bologna.

 

 

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