Le deportazioni da Bologna

 

Per primi furono gli antifascisti

La deportazione politica dal territorio bolognese coinvolse per primi gli antifascisti, ovvero coloro che già nel corso degli anni Venti e Trenta erano stati oppositori, pagando spesso in prima persona con bastonature, arresti, processi, lunghe carcerazioni e l'invio al confino. Furono inizialmente soprattutto comunisti, socialisti e anarchici, già oggetto in libertà di attenta sorveglianza da parte della polizia e di schedatura nel Casellario Politico Centrale, ad essere colpiti da misure di internamento nei lager nazisti, ai quali più tardi si aggiunsero anche militanti del Partito d'Azione.

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Durante la parentesi badogliana, tra il 25 luglio e l'8 settembre 1943, una parte di coloro che si trovavano in carcere furono rilasciati, ma la loro libertà in molti casi fu breve, poiché subito dopo l'occupazione tedesca e il ritorno dei fascisti ora protetti dai fucili della Wehrmacht, liste alla mano vennero cercati e riportati nelle celle che avevano già conosciuto. È il caso degli antifascisti imolesi, rastrellati a decine nella notte fra il 14 e il 15 settembre. Ed è quello di undici noti oppositori bolognesi che per ordine della Questura sono arrestati il 19 settembre e condotti nel carcere giudiziario cittadino di San Giovanni in Monte, che inizierà di lì a breve a funzionare come luogo di detenzione sia per le varie polizie italiane, che per le autorità militari e di polizia tedesche, in particolare per l'Aussenkommando Bologna della Sipo-SD, ovvero la Sicherheitspolizei und Sicherheitsdienst (polizia di sicurezza e servizio di sicurezza) comprendente anche la Gestapo, la polizia segreta incaricata di combattere i nemici politici e «razziali» del Terzo Reich. Comandante della Sipo bolognese fu fino all'estate del 1944 il tenente SS-Obersturmführer Herbert Bieber, poi sostituito da Karl Weissmann.

Nell'autunno 1943 ai primi arresti se ne aggiunsero via via altri, effettuati in città come in pianura, o in zona collinare e appenninica, dove tentavano di organizzarsi i primi gruppi di antifascisti e di giovani decisi ad opporsi anche con le armi al regime nazifascista. A Bologna iniziano inoltre a giungere arrestati anche in altre province della regione, per essere prima interrogati nelle celle dell'Aussenkommando - che in quella fase si trovava in via Albergati 6 - poi in carcere, in attesa del loro destino.

Tra fine novembre e inizio dicembre 1943 funziona alacremente una meglio non identificata «commissione» tedesca che passa al vaglio le posizioni di tutti quelli catturati fino a quel momento, decidendo se trattenerli o liberarli. Per Celso Morini, Gaetano Trigari, Adelmo Lolli, Renato Gaiani e Adelmo Capelli, ad esempio, provenienti dal gruppo di antifascisti bolognesi in carcere da settembre, non vi saranno dubbi, e rimarranno ad attendere la prima occasione per essere inviati in lager. L'opportunità arriverà il 29 gennaio 1944, quando a seguito di un pesante bombardamento su Bologna che danneggerà anche un'ala del carcere, l'intera sezione tedesca con tutti i suoi detenuti, in quel momento circa 150 dei quasi 500 presenti, sarà trasferita al penitenziario di Castelfranco Emilia. Da qui una parte sarà fatta proseguire per le carceri tedesche di Verona, da dove in diciotto il 2 marzo 1944 raggiungeranno Dachau, proseguendo poi fino al lager alsaziano di Natzweiler-Struthof o a quello di Flossenbuerg. Solo la metà di loro riuscirà a sopravvivere.

 

Poi fu la volta degli operai

Bologna non aveva le grandi fabbriche e le concentrazioni di operai che caratterizzavano città come Milano, Torino o Genova. Tuttavia anche tra gli operai e le operaie delle fabbriche medie e piccole del bolognese e dell'imolese era ben radicata la presenza di attivisti politici che segretamente cercavano di incanalare il crescente malcontento per la guerra, una opposizione che andava assumendo anche nelle campagne e nei piccoli centri le caratteristiche di un movimento di resistenza popolare e per questo tanto più pericoloso per i comandi tedeschi che dovevano garantire invece l'efficienza delle produzioni belliche e il reperimento di preziosa manodopera da inviare in Germania.

2)

Già negli ultimi giorni di febbraio infatti, ma soprattutto a seguito degli scioperi del primo giorno di marzo, la polizia tedesca e quella fascista danno avvio ad un'ampia ondata di arresti, sia in città che nei borghi di provincia, dove alcuni massicci rastrellamenti avvengono anche in risposta ad attentati ad esponenti fascisti locali. Non a caso è il marzo del 1944 il mese in cui maggiore è l'afflusso di detenuti a San Giovanni in Monte rispetto a tutto l'arco di occupazione tedesca.

Di lì a poco pagheranno con la deportazione il loro impegno, operai della Weber e della Sasib, come Bruno Trombetti, Antonio Bertoncelli, oppure della Ducati e dell'Acma, per fare solo alcuni esempi, o ancora dell'OARE, le officine meccaniche militari da cui provengono Armando Mazzoli, Antonio Celin e Adelchi Baroncini (che sarà inviato in lager con la moglie e le tre figlie). Ma anche i tramvieri, da sempre molto politicizzati, subiranno una dura repressione; tra loro Secondo Borghi e Giorgio Scarabelli.

Nel frattempo i tedeschi inizieranno ad organizzare la deportazione politica a partire dal campo di concentramento di Fossoli, già luogo di concentramento degli ebrei da avviare allo sterminio, la cui parte «nuova» passerà ufficialmente sotto il loro controllo dal 15 marzo come Polizei - und Durchgangslager. Il primo contingente di detenuti politici lo raggiungerà da Bologna il 6 maggio, il secondo il giorno 16, poi a seguire con cadenze irregolari ma frequenti.

 

Toccò quindi ai partigiani

Dopo i primi difficili tentativi di organizzazione partigiana sull'Appennino nel primo inverno, e in seguito sulle montagne del Veneto, tra la primavera e l'estate del 1944 il movimento di resistenza, grazie anche al massiccio afflusso di renitenti ai bandi di chiamata della repubblica di Salò, e galvanizzato prima dallo sfondamento a Cassino, poi dalla conquista di Roma e dallo sbarco in Normandia, da rivolo diventerà fiume in piena.

Ma anche la repressione tedesca e fascista si farà sempre più feroce. Inizia la stagione delle rappresaglie, dei rastrellamenti indiscriminati, delle retate nelle strade. Chi non perde la vita in combattimento, se è preso va davanti ad un plotone di esecuzione o va in lager, oppure, se è fortunato, si troverà a lavorare in una fabbrica tedesca. I treni per il nord si susseguono, da Fossoli, e Bolzano-Gries, che da agosto lo sostituirà come nuovo campo di transito.

I partigiani bolognesi catturati, ma anche emiliani, romagnoli e toscani, che passano dalle celle di via Santa Chiara 6/3 - la nuova sede dell'Aussenkommando Bologna e della Gestapo - poi di San Giovanni in Monte, vanno ad alimentare il flusso delle migliaia di italiani che oltrepasseranno i cancelli di Dachau e di Mauthausen, di Flossenbuerg e di Buchenwald, sconvolti da ciò che troveranno.

Provengono dalle otto brigate Garibaldi del bolognese, come la «Bolero» e la «Bianconcini», la «Irma Bandiera» e la «Camicie rosse», la «Paolo» e la «Venturoli», la «Jacchia» e la «7a GAP», o dalle brigate«»Matteotti», dalle formazioni di «Giustizia e Libertà», o da altre autonome, e dalla «Stella Rossa». Ognuna di queste avrà i propri caduti e i propri deportati, che lottarono per accelerare la sconfitta del nazifascismo, convinti dell'imminente arrivo degli alleati, ormai così vicini.

Non tutti purtroppo poterono vedere di persona i frutti del loro sacrificio, e oltre la metà dei deportati politici non tornò nell'Italia liberata. Le loro biografie, a decine e centinaia, sono disponibili in questi sito, e documentano quanto sia stata ampia la partecipazione diretta e il supporto della popolazione emiliana e bolognese al movimento partigiano.

 

L'ultimo lungo inverno

Ma le cose non andarono come si era sperato, e il 13 novembre il «proclama Alexander» mise il nord della penisola davanti a una prospettiva ben diversa: fino a primavera il fronte sulla cosiddetta linea gotica non sarebbe stato sfondato. «Partigiani, andate a casa!». Ma quale casa? Inizia in quel momento la fase più drammatica, che costerà ai partigiani bolognesi e a chi con loro aveva fino a quel momento collaborato, un contributo di sangue altissimo.

Già esposti fin oltre il dovuto nella convinzione di un imminente arrivo dei «liberatori», i combattenti delle brigate partigiane della nostra provincia si erano concentrati in città o attorno ad essa, in attesa dell'ordine di insurrezione generale. Un folto gruppo si era barricato segretamente tra le rovine dell'allora Ospedale maggiore, presso porta Lame. Per caso il 7 novembre 1944 furono scoperti, dando inizio ad un'epica battaglia durante la quale riuscirono a sganciarsi con relativamente poche perdite.

3)

Bisognava però trovare nuovi rifugi, nuove basi, in città e soprattutto in campagna, dove fra l'altro le armate tedesche si stavano acquartierando ovunque, rendendo difficili i collegamenti e obbligando a pericolose convivenze. In questo quadro pochi delatori riusciranno a far danni enormi. A causa di alcune spie all'inizio del dicembre 1944 una serie di rastrellamenti investirà, dopo i quartieri cittadini, la pianura a nord della città, accanendosi in particolare sulle campagne attorno a San Giovanni in Persiceto, Amola, Anzola dell'Emilia, Calderara di Reno.

Molte centinaia di persone, tra i quali non pochi dei partigiani che avevano combattuto a porta Lame, saranno concentrate in alcuni luoghi provvisori, come la chiesa di Amola, o il teatro di Sant'Agata, per essere riconosciute da chi nell'estate era stato tra loro, e ora li consegnava ai tedeschi. Quelli individuati saranno condotti a Bologna, prima nella celle del comando SS in via Santa Chiara 6/3, poi a San Giovanni in Monte, da dove poi in 58 saranno prelevati per essere fucilati il 14 e il 23 dicembre sui colli di Sabbiuno di Paderno, mentre altri 100 saranno deportati, con un trasporto che partirà il 22 dicembre per il campo di Bolzano, da dove poi la maggior parte proseguirà sui vagoni piombati per Mauthausen.

Anche tra il gennaio e il febbraio del 1945 gli arresti e i rastrellamenti continueranno in città e in tutta la pianura, e avranno come esito la fucilazione di altri numerosi partigiani, i cui corpi saranno malamente sepolti nei crateri delle bombe cadute attorno alla stazione di San Ruffillo. Più fortunati i circa 100 destinati a deportazione alla fine di febbraio, che una volta giunti a Bolzano vi resteranno fino alla liberazione del campo, poiché la ferrovia del Brennero sulla quale avrebbero dovuto arrivare a Mauthausen fu interrotta dai bombardamenti.

 

Anche sacerdoti e attivisti cattolici

Va sottolineato come tra i deportati dalla nostra provincia nei Konzentrationslager SS vi sia stata anche una presenza significativa di sacerdoti, che pagarono in questo modo per il loro impegno di solidarietà e di assistenza materiale a prigionieri alleati in fuga, a partigiani feriti o da nascondere, ad ebrei da aiutare ad espatriare, come don Giuseppe Celli, don Sante Bartolai, e don Pietro Paternò, o che semplicemente aiutarono a far uscire qualche lettera dal carcere, come il già anziano don Giuseppe Elli.

Così come nelle liste dei candidati alla deportazione compilate dai funzionari della Gestapo insediata a Bologna non mancano attivisti cattolici che si spesero per gli stessi scopi umanitari e di assistenza, interpretando l'opposizione al fascismo innanzitutto come aiuto alle sue vittime, atto concreto per negarne i suoi principi disumani.

Le figure di Odoardo Focherini, eletto tra i Giusti e proclamato Beato per la sua opera di aiuto agli ebrei in fuga dalla persecuzione, e l'impegno etico e politico di Rino Molari, ma è solo uno tra i tanti che si potrebbero ricordare, hanno illuminato con l'esempio personale le tenebre scese su quel tempo.

 

La deportazione femminile

Sono molte le donne bolognesi che sono state deportate, in quanto oppositrici o in quanto ebree, e che hanno quindi vissuto nella realtà dei lager nazisti una doppia pena, in quanto nemiche politiche o «razziali» e in quanto donne, oggetto di una ulteriore dose di umiliazione, se possibile, in un ambiente che della disumanizzazione aveva fatto già il suo fondamento. Nelle loro biografie, nonché nella memorialistica e nelle testimonianze che le riguardano, ci sono gli elementi per continuare una riflessione anche su questo particolare aspetto della tragedia della deportazione.

Tra le vicende più toccanti quella delle donne della famiglia Baroncini, arrestate con il capofamiglia Adelchi e inviate a Fossoli; mentre Adelchi partirà per Mauthausen già nel giugno, da dove non tornerà, la moglie Teresa Benini e le tre figlie Jole, Angela e Nella saranno destinate dall'agosto al lager di Ravenbrueck, dove solo le ultime due riusciranno a resistere fino alla liberazione del campo.

Altrettanto emblematiche della deportazione femminile sono le vicende di alcune altre donne - tutte partigiane - bolognesi o che da Bologna iniziarono il percorso punitivo verso il lager, come Luigia Badiali, Giovanna Fregni, Maria Scarani, oppure Cerere Bagnolati, Domenica Bez, Clara Dragoni e Bruna Ruttoli, tutte immatricolate a Ravensbrueck.

 

La «deportazione dei bolognesi»

Per completare il quadro generale dobbiamo considerare che la deportazione nei Konzentrationslager dell'apparato SS riguardò anche molti bolognesi (intesi come nati in provincia di Bologna) che entrarono in lager non a seguito di un arresto avvenuto a Bologna, ma iniziando il loro percorso in altri luoghi, regioni, nazioni, dove per varie ragioni si trovavano al momento della cattura o dell'arrivo dei tedeschi. Complessivamente sono la metà dei circa 250 deportati in KL nati in provincia di Bologna individuati. Queste le principali categorie.

- Partigiani e antifascisti bolognesi operanti in altre città e regioni italiane, là catturati e deportati.

Riguarda una ampia casistica di militanti politici e partigiani bolognesi che per varie ragioni si trasferirono in altre città durante l'occupazione, oppure che erano già residenti altrove quando furono catturati. Tra loro anche figure assai importanti dell'antifascismo e della organizzazione partigiana, che fino a quel momento avevano contribuito in modo significativo alla attività delle rispettive organizzazioni: Giovanni Galli, Walter Masetti, Giovanni Masi, Mario Michelini, Marino Nannetti, Renato Parisini, Rino Rodondi, Mario Roveri, sono solo alcuni dei nominativi più noti.

- Antifascisti e oppositori antinazisti arrestati in Francia dove erano emigrati o ex-Garibaldini di Spagna internati in Francia dopo la vittoria di Franco e da lì deportati in seguito alla occupazione tedesca.

Da ricordare, come esempio tra i tanti, i casi di Virgilio Cerbai, Romano Cocchi, Augusto Mezzini, Francesco Pacchi, Amedeo Tonelli, Giuseppe Berti.

- Civili che si trovavano in Germania come lavoratori volontari o lavoratori coatti, oppure IMI trasformati in civili dopo l’estate 1944, che furono inviati in lager SS per punizione a reati o comportamenti ritenuti eversivi.

Si tratta di internati soprattutto a Dachau a seguito di arresti avvenuti in varie località tedesche, dove si trovavano come lavoratori civili o IMI cosiddetti “civilizzati”. Esemplari i casi di Giuseppe Colombari, Rino Guidetti, Fausto Morschio, tutti immatricolati con la categoria di Schutz NAL (dove NAL sta per Nicht aus dem Lager, ulteriore classificazione per i detenuti, soggetti a provvedimenti da parte di Kriminalpolizei o Gestapo, che non dovevano essere spostati ad altri lager o sottocampi).

- Detenuti comuni che si trovavano in carceri italiane in attesa di processo o in espiazione di pene già comminate, ma prelevati dai tedeschi e deportati in lager SS con la categoria di "BV" (Berufsverbrecher) ovvero "delinquenti abituali".

È il caso di un gruppo di alcuni detenuti, come Augusto Stradaioli, o Secondo Ravanelli, che si trovavano nel carcere di Parma quando questo fu bombardato nel maggio 1944 e che furono trasferiti dai tedeschi a Fossoli, da dove poi furono trasferiti a Mauthausen nel mese di giugno, insieme ai prigionieri politici.

- Militari detenuti nel carcere militare di Peschiera del Garda deportati in massa a Dachau il 22 settembre 1943 per punire la loro indisponibilità a collaborare con i tedeschi.

È un episodio che coinvolse complessivamente 1790 detenuti militari, reclusi per lo più per episodi di insubordinazione, diserzione o reati comuni, di cui 18 nati in provincia di Bologna. Da Dachau in seguito parte di essi futrasferita in altri lager. Alcuni esempi: Mario Gentilini, Giuseppe Lenzi, Giuseppe Mazzanti, Giuseppe Mongardi, Evelino Stefanini, Walter Travini, Beniamino Ziosi.

- Militari italiani catturati dopo l'8 settembre 1943 e internati in Germania ma in seguito deportati in lager SS.

Si tratta di militari bolognesi che dopo la cattura, avvenuta per lo più nei Balcani, una volta giunti in campi di prigionia in Germania furono per esigenze produttive inviati con numerosi altri loro compagni ai lager di Buchenwald e di Dora-Mittelbau, dove furono immatricolati come deportati anziché mantenere l'iniziale categoria di IMI. Tra di essi: Enzo Bonora, Novello Corticelli, Cesare Masetti, Cesare Ricci, Giorgio Trebbi, i fratelli Armando e Isoro Vivarelli, Luciano Zucchini, e altri ancora.

- Militari italiani condannati da tribunali militari tedeschi in Italia o in Grecia e Balcani, inviati alle carceri della Wehrmacht di Torgau, ma in seguito trasferiti al campo di rieducazione al lavoro (AEL) di Zoeschen, poi a Buchenwald.

Si tratta di un caso particolare, poco conosciuto, che ha riguardato oltre duecento italiani, tra i quali diversi bolognesi. Vedere ad esempio le vicende di Marino Guerrini, Amilcare Ornelli, Arcangelo Tugnetti, Aldo Zecchini.


FOTO:

1) Deportati nel lager di Buchenwald

2) Rastrellamento nell'Oltrepo Pavese

3) Lager di Mauthausen

 

 

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