Verso Auschwitz

 

«Era giorno di razzia a Bologna»

Alla vigilia delle «leggi razziali» del 1938, a Bologna era presente una comunità ebraica non particolarmente numerosa (meno di un migliaio di persone), ben integrata nel tessuto economico, politico e culturale della città. Successivamente, l’allarme suscitato dai provvedimenti discriminatori prima, dall’andamento delle vicende belliche poi, e infine dalle notizie che trapelavano sulle persecuzioni intraprese dai nazisti nel resto dell’Europa occupata, indussero molti dei suoi membri ad emigrare all'estero, o a trasferirsi fuori città.

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Per contro numerosi ebrei stranieri si spinsero in Italia alla disperata ricerca di una via di salvezza dalla persecuzione nazista nei loro paesi di origine, ritrovandosi non di rado in posizioni estremamente precarie. Nonostante lo sforzo di solidarietà dei loro correligionari e di tanti italiani, furono le prime vittime, insieme agli ebrei italiani anziani o indigenti, delle retate che anche nella penisola occupata iniziarono presto ad essere organizzate dalle autorità di polizia tedesche.

Dopo il grande rastrellamento del 16 ottobre 1943 a Roma, che si sarebbe concluso con l'invio ad Auschwitz di 1023 ebrei, dei quali solo 16 riusciranno a tornare, il distaccamento operativo speciale guidato dall’SS-Hauptsturmführer Theodor Dannecker cominciò a risalire verso nord, per continuare in altre città il suo compito, avvalendosi della collaborazione in loco di agenti di polizia italiana. Le locali questure forniranno anche gli elenchi di ebrei che già possiedono, grazie ai censimenti eseguiti dopo il 1938. A Genova gli arresti inizieranno il 3 novembre 1943, mentre tra il 5 e l’8 dello stesso mese sono investite dalle retate le comunità israelitiche di Montecatini, Siena, Firenze e Bologna.

A Siena sono alcune decine le persone catturate, custodite in una caserma, poi caricate il 7 novembre su un vagone merci e trasferite a Bologna. Si ritroveranno la mattina dell’8 all’interno della stessa struttura militare, forse le Caserme Rosse o la caserma dell’artiglieria, in cui venivano a mano a mano concentrati gli ebrei bolognesi catturati nel rastrellamento in corso. Solo lì inizia per gli arrestati senesi l’interrogatorio e la selezione che ha lo scopo di separare gli ebrei «puri», destinati all’immediata deportazione, da quelli «misti» – perché con coniuge non ebreo o figli di coppie miste – e dagli eventuali familiari «ariani». La stessa operazione è in corso con gli arrestati bolognesi.

Di quel momento straziante ci è rimasto il racconto della senese Alba Valech, una delle pochissime testimonianze disponibili sulla retata a Bologna:

Eravamo in uno stanzone ampio, che dava in un cortile pieno di pozzanghere. Non pioveva più, ma il cielo era sempre annuvolato. Vicino all'ingresso, attorno ad un tavolo, si agitava un gruppo di tedeschi, facce dure e impudenti di S.S. Tra loro un ufficiale alto, un bell'uomo dall'aria tracotante e spavalda, batteva a cadenza con lo scudiscio i suoi eleganti stivaloni. Sul tavolo i gioielli e i denari degli ebrei si ammucchiavano sempre più, via via che nuovi camion giungevano e rovesciavano nuove famiglie. Era giorno di razzia a Bologna. Uomini, donne, vecchi e bimbi continuavano ad ingrossare il gruppo dei miei [i suoi genitori, già selezionati come ebrei «puri»] e qualcuno, ogni tanto, ariano o misto, si aggiungeva al nostro. Pugni, spintoni, scudisciate. L'interrogatorio continuava. Seduto dinanzi ad una macchina da scrivere, Ettore [il marito ariano di Alba], via via, annotava i nomi. Gli avevano imposto questo incarico.1

Alla fine delle operazioni di schedatura e interrogatorio gli ebrei senesi e bolognesi selezionati per la deportazione saranno trasferiti fino ai vagoni ferroviari giunti nel frattempo da Firenze, nei quali si trovavano gli ebrei catturati in quella città e suoi dintorni. Il convoglio, ripartito il 9 novembre, giungerà ad Auschwitz il 14, dove scaricherà tra i forse circa 400 prigionieri, per la maggior parte stranieri, anche gli ebrei caricati a Bologna.

Sono ventuno i nomi individuati: Pasqua Basevi, Sara e Luna Bonacar, Adele e Gerolamo D'Italia, Clotilde e Zevulun Goldstaub, Caden Hakim, Giuseppe Leckner, Attilio Leoni, Venturina Maroni, Attalo e Lino Muggia, Carlo Padoa, Itala e Silvia Resignani, Enrichetta e Giuseppe Schenkel, Anna e Bianca Tedeschi e la novantatreenne Fanny Todesco. Nessun superstite.

 

Continua la caccia

Nei giorni successivi, mentre Dannecker si sposta altrove, a Bologna gli arresti e le incarcerazioni proseguono con il coordinamento dell'ufficio locale della Gestapo. Inizia la caccia ai fuggitivi, a coloro che per qualche ragione non erano stati sorpresi dall’azione inaspettata dell’8 novembre. Il carcere di San Giovanni in Monte non era stato utilizzato durante quella retata, se non per alcuni, mentre invece i suoi registri sono preziosi per raccontare la cronaca degli arresti di tutta la fase successiva

I primi ad essere incarcerati, il 15 novembre, sono i quattro membri della famiglia Dalla Volta. Due giorni dopo entra in carcere anche Nissim Matatia, che raggiunge così il figlio Roberto, già in cella dal 5 novembre. Il 18 è la volta un ebreo di origine croata, Wolf Winternitz, mentre il 21 toccherà al bolognese Ernesto Passigli.

In data 2 dicembre 1943 gli ebrei presenti nel carcere saranno prelevati dalle SS per essere trasferiti a Verona, che raggiungeranno insieme ad un gruppo di politici e di prigionieri di guerra. Là i percorsi si separeranno, e gli ebrei in arrivo da Bologna andranno ad aggiungersi il 6 dicembre 1943 a quelli presenti sul trasporto proveniente da Milano che raggiungerà Auschwitz cinque giorni dopo.

2)

Si chiude così una prima fase della persecuzione degli ebrei in Italia, caratterizzata ancora dalla prevalente iniziativa autonoma della polizia tedesca. Dal dicembre 1943, dando seguito agli enunciati antisemiti contenuti nella «carta di Verona», con l’ordinanza di polizia n.5 del Ministero degli Interni, datata 30 novembre, che stabilisce l’arresto e l’internamento degli ebrei italiani e stranieri, e del sequestro dei loro beni, la Repubblica sociale italiana si assumerà in proprio la politica persecutoria contro gli ebrei.

Prefetture e polizie sono così messe ufficialmente a disposizione per tale compito, per il quale è ordinato l’allestimento di campi di concentramento provinciali, da cui poi gli ebrei sono fatti confluire ad un campo centrale appositamente attrezzato: l’ex-campo di prigionieri di guerra di Fossoli, che dal 5 dicembre 1943 assume la nuova denominazione di «Campo di concentramento ebrei», mentre come campi provinciali, a seconda delle località, sono destinate strutture di vario genere, o le locali carceri. A Bologna sarà San Giovanni in Monte a continuare in tale funzione.

Nel corso del dicembre 1943 saranno numerosi gli ebrei bolognesi di nascita o di residenza che rimarranno impigliati nelle maglie della doppia rete fascista e tedesca, a tendere la quale non saranno estranei in alcuni casi delatori e agenti prezzolati. Arresti avverranno a Firenze, dove sarà preso il rabbino capo della comunità di Bologna, Leone Alberto Orvieto, insieme alla moglie Margherita Cantoni. Ma molti verranno individuati nei piccoli centri di collina o di campagna in cui avevano cercato rifugio, dai bombardamenti e dagli sguardi pericolosi. A Riolo Bagni gli agenti troveranno il 5 dicembre Elsa Bidussa e le figlie Vera e Wanda Pinto, oltre ad Angelo Piazza con la figlia Maria Luisa e la moglie Margherita Ascoli. A Savignano sul Panaro sono catturati il resto della famiglia di Nissim Matatia, ovvero i figli Nino e Camelia e la moglie Matilde Hakim. A Castiglione dei Pepoli è fermato Gino Guglielmi con la madre Elsa Zamorani. Le quattro sorelle Forti sono arrestate invece a Cesena, mentre Massimo Jona è fermato vicino al confine svizzero.

Tutti i fermati del dicembre 1943 saranno in seguito trasferiti a Milano, dopo percorsi diversi che toccheranno a seconda dei casi le carceri e i luoghi di concentramento di Forlì, Ravenna, oltre che di Bologna. Partiranno infine per Auschwitz  il 30 gennaio 1944 - in un trasporto di 605 persone provenienti da molte località del centro-nord - dal binario sotterraneo della stazione del capoluogo lombardo. Solo Bruno Cottignoli e Nino Matatia riusciranno a non soccombere.

 

Fossoli, tranquilla anticamera dell'inferno

Il primo trasferimento da Bologna a Fossoli avviene invece il 10 gennaio 1944, e coinvolge un gruppo di ebrei libici con cittadinanza inglese precedentemente destinati all’internamento «libero» - nella doppia veste di ebrei e di sudditi di stato nemico - a Camugnano, una località nelle colline del capoluogo. Un altro numeroso gruppo di ebrei anglo-libici era intanto già stato trasferito dal luogo di internamento di Bazzano, la casa colonica della «Bagantona», al campo di concentramento di Reichenau, in Austria. Sia gli ex internati di Bazzano che quelli di Camugnano, riusciranno a sopravvivere grazie ad un trattamento preferenziale loro accordato in quanto possessori di passaporto inglese che li avrebbe risparmiati dallo sterminio immediato. Saranno consegnati alla Croce Rossa e liberati dal campo francese di Vittel già nell'estate 1944.

Il 16 gennaio saranno invece trasferite due donne ebree di origine croata, Bozjena e Zora Hirschler. Con loro saranno accompagnati da agenti di della questura anche i quattro componenti della famiglia bolognese di Aldo Cividali e Ada Levi, incarcerati per ordine della Questura appena due giorni prima, provenienti dal carcere di Varese a seguito della loro cattura mentre tentavano di passare in Svizzera.

3)

Dalla metà del febbraio 1944 tutti gli arresti effettuati nel Bolognese, dopo un periodo variabile di detenzione a San Giovanni in Monte, saranno trasferiti direttamente a Fossoli. Fino alla fine di maggio gli accompagnamenti avvengono di norma a cura delle autorità italiane, spesso in treno, con loro agenti di questura o carabinieri, anche quando si tratta di ebrei detenuti sotto autorità SS. Dall’inizio di giugno invece, gli ormai ultimi gruppi di ebrei arrestati sono inviati a Fossoli aggregati ai trasporti di prigionieri politici in partenza dal carcere bolognese con militari SS. La ragione di questo cambiamento potrebbe dipendere dal numero ormai esiguo degli arresti di ebrei che sono eseguiti e dalla crescente difficoltà nel reperire agenti di polizia italiani disponibili distraendoli da altri compiti, mentre sono invece sempre più numerosi i detenuti politici incarcerati sotto autorità tedesca da trasferire al campo carpigiano in attesa di deportazione o di invio al lavoro coatto.

Quella che si può ricostruire, in base alle schede biografiche e alla cronologia presenti in questo sito, è la cronaca di uno stillicidio di arresti, di singoli come di piccoli gruppi familiari, a cui corrisponde un frazionamento nei trasferimenti, che per portare da Bologna a Fossoli 36 detenuti per motivi «razziali», tra febbraio e luglio, arrivano a distribuirsi su 18 date distinte. Risultano così scrupolosamente osservate le direttive con cui Julius Wilbertz, dirigente del comando Sipo-SD di Bologna, aveva imposto ai questori emiliani di accompagnare con propri agenti al campo di Fossoli gli ebrei a mano a mano arrestati, dandone comunicazione periodica alla sede SS bolognese.

A Fossoli l'attesa degli internati sarà più o meno lunga, a seconda del momento dell'arrivo e dell'inserimento o meno tra i partenti del successivo convoglio, le cui liste sono compilate direttamente nell'ufficio IVB4 (preposto alla questione ebraica) dell'alto comando della Sipo-SD di Verona. La maggior parte delle testimonianze disponibili descrive il periodo di internamento a Fossoli, pur tra episodi di violenza gratuita e di umiliazioni, come una fase relativamente tranquilla, in genere preferibile a quella vissuta nelle carceri o in altri campi di internamento, e che induce in molti la speranza che i luoghi dell'est Europa in cui sanno di essere destinati non siano molto diversi. La realtà, come sappiamo, smentirà tragicamente questa illusione.

 

I treni dello sterminio

Dopo i due convogli di ebrei «bengasini» partiti da Fossoli per il lager di Bergen Belsen il 26 gennaio e il 19 febbraio 1944, il primo treno per Auschwitz su cui saranno fatti salire gli ebrei fatti confluire nel campo di transito emiliano sarà quello che lascerà la stazione di Carpi il 22 febbraio. A bordo ci sarà anche Primo Levi, che ci ha lasciato il racconto della preparazione e dello svolgimento di quel viaggio, che si concluderà la sera del 26, quando dei 650 passeggeri solo 124 saranno scelti per l'immatricolazione e la tatuazione del numero sul braccio, mentre i restanti saranno avviati subito alla camera a gas.2

Provenienti da arresti effettuati a Bologna, o in questa città nati, viaggeranno con lui, oltre alla famiglia Cividali e alle sorelle Hirschler, anche i coniugi Lionello Vigevani e Amelia Muggia, Benedetto Sermoneta e Giuditta Moresco, le sorelle Melli Amelia e Novella, Bruno Bassani, arrestato a Venezia, Clotilde Orefice, presa a La Spezia, e Guido Abolaffio, catturato a Porretta;  il polacco Ariel Leib Treistmann e la croata Anna Weissbach. Nessuno di loro farà ritorno.

Il convoglio successivo partirà da Fossoli il 5 aprile 1944, e dopo le tappe di Mantova e Verona, per caricare altri prigionieri, arriverà ad Auschwitz il giorno 10, con almeno 609 persone, delle quali 16 nate o provenienti da Bologna: la famiglia di Simon Arbib e Yvonne Hassan e quella di Riccardo Jacchia e Wanda Finzi, la famiglia di Gilberto Rocca e Lieta Pesaro, e inoltre Arrigo Zamorani, Giorgio Hanau e Josefu Kabiljo. Tutti uccisi all'arrivo o deceduti in seguito.

E ancora, il 22 maggio 582 prigionieri giungeranno ad Auschwitz dopo essere partiti dalla stazione di Carpi il 16 precedente. In questo trasporto, sul quale esiste la dettagliata  testimonianza di uno dei militari tedeschi di scorta3, erano comprese 8 persone provenienti dal carcere di Bologna (Mario Finzi, Hans Schwartz, Joseph e Markus Zamojre, Irma Lampronti; Moisè Roberto Finzi, la figlia Clara e la moglie Adele Gentilomo) e tre residenti nel capoluogo emiliano ma catturati a Firenze (Edoardo Bigiavi e la moglie Evelina Sacerdoti, e Giulio Rocca). Solo Clara Finzi e Joseph Zamojre riusciranno a sopravvivere, quest'ultimo raccontando dall'America il drammatico viaggio compiuto con il padre attraverso l'Europa stravolta dalla guerra e dai fascismi.

4)

Dopo il primo grande trasporto di politici partito il 21 giugno per Mauthausen, il 26 successivo un altro treno dello sterminio porterà ad Auschwitz, dopo un carico anche a Verona, più di 500 nemici «razziali» del Reich. All'arrivo alla banchina per la selezione a Birkenau, il 30 giugno, tra loro anche 14 ebrei provenienti dal carcere di Bologna (i sei fratelli Calò e la madre, le tre sorelle Diena, Marcello Minerbi, Aldo De Angeli, Giuseppe Berger e Giacomo Coen Luzzato) e altri tre nati o residenti a Bologna ma catturati altrove e poi portati a Fossoli: Guido Sonino e la moglie Emma Castelfranco, arrestati a Firenze, e Guido Levi, preso vicino al confine svizzero. Nemmeno tra loro ci saranno sopravvissuti.

Alcuni altri ebrei internati a Fossoli dovranno attendere l'ultimo convoglio con cui, in preparazione dello spostamento della funzione di campo di transito a quello di Bolzano-Gries, a inizio agosto i dirigenti SS del comando veronese provvederanno allo svuotamento della struttura emiliana, ormai troppo vicina al fronte in risalita. Ernesto Vitta, Ermanno Jacchia, Ernesto Landsberg, Alessandro Oblath, Alceo Piazza Giacomo Usiglio Bondì, Silvio Wertheimer, nati o residenti a Bologna, o in quella città catturati, partiranno per Auschwitz da Verona il 2 agosto, dopo esservi stati condotti in camion. Arriveranno il 6, ed anche in questo caso nessuno riuscirà a tornare.

Ma anche dal campo tirolese di Bolzano partiranno altri convogli diretti allo sterminio, in cui saranno presenti alcuni ebrei arrestati a Bologna e là inviati. Lazzaro Ravà partirà con il trasporto del 3 ottobre. I due fratelli Corrado e Giuseppe Mortara, dei quali solo il secondo tornerà a Bologna, arriveranno ad Auschwitz il 28 ottobre, insieme anche a Friedrich Gruen e a Samuel Spritzmann.

 

Gli ultimi omicidi

Ormai a breve Auschwitz sarà raggiunta dall'armata sovietica e liberata. Ma sebbene l'organizzazione dello sterminio pianificato di milioni di ebrei d'Europa sia ormai concluso, anche negli ultimi mesi di occupazione tedesca in Italia chi è catturato e identificato come di «razza ebraica» può essere eliminato sul posto, con altri mezzi, come la segreta fucilazione insieme ai partigiani arrestati e condannati a morte dagli ufficiali bolognesi SS.

Sarà così per Leo Kocker, commerciante ebreo residente a Castelfranco Emilia, preso il 25 novembre e ucciso il 14 dicembre 1944 sul ciglio dei calanchi di Sabbiuno di Paderno. O come forse anche per il noto scienziato e docente di chimica Maurizio Leone Padoa: è possibile che la sua scomparsa dal carcere di San Giovanni in Monte, dopo l'arresto del 20 marzo 1945, sia dovuta all'invio a fucilazione, il giorno successivo, con alcuni partigiani davanti alla stazione di San Ruffillo. Potrebbe però essere stato trasportato quel giorno verso il campo di Bolzano, ed essere lì deceduto, o nei dintorni.

 

NOTE:

1 Brano tratto da: Alba Valech Capozzi, A 24029, Soc. An. Poligrafica, Siena 1946, p. 12

2 I dati sui trasporti da Fossoli e i prigionieri presenti sono tratti da: Liliana Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli. 1943-1944, Arnoldo Mondadori Ed., Milano 2010

3 La testimonianza di Eugen Keller è riprodotta in Liliana Picciotto, op. cit., pp. 149-152


FOTO:

1) Auschwitz-Birkenau; selezione sulla rampa all'arrivo di un convoglio di ebrei ungheresi nell'estate 1944

2) Il Popolo d'Italia, agosto 1938, alla vigilia delle "leggi razziali"

3) La recinzione esterna del campo di concentramento di Fossoli, presso Carpi (MO)

4) Auschwitz-Birkenau; prigioniere al lavoro per selezionare beni sequestrati alle vittime e immagazzinati nel settore "Canada"

 

 

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