BACK
CARCERATO NEL REICH

CINELLI FERDINANDO

Nato nel 1922 a Bologna
Residente a Bologna
Carcerato a Friburgo, Torgau
È sopravvissuto
nessun numero assegnato

Cinelli Ferdinando, nato nel 1922 a Bologna; lì residente.

Presta servizio militare in Friuli dal 1941 fino all'8 settembre 1943, quando al disfacimento della sua unità riesce a rientrare fortunosamente a Bologna.

Successivamente è richiamato in servizio militare dalle autorità di Salò e decide di presentarsi per evitare rappresaglie sulla famiglia. La prima destinazione, nel gennaio 1944, è una caserma di Padova, dove – raccontanella sua autobiografia – rimane tre mesi in addestramento come artigliere di contraerea. Al termine è
inviato sulle colline dietro la località marchigiana di Fano per servire in una batteria posta sotto comando tedesco, che diviene bersaglio di frequenti mitragliamenti da parte di aerei alleati.

Cinelli decide quindi di fuggire, insieme ad un commilitone originario di Castel Maggiore (BO). Dopo pochi chilometri però i due disertori sono rintracciati
e catturati: «i tedeschi credevano che volessimo raggiungere i partigiani - scrive -, mentre noi volevamo soltanto andare a casa».

Portati a Bologna, sono detenuti in una caserma presso il Molino Parisio, in attesa di un processo, che è celebrato una ventina di giorni dopo in un comando
tedesco (con ogni probabilità della Flak) insediato a Villa Talon, a Casalecchio di Reno. La condanna è a sei anni di carcere per diserzione.

Poco dopo è trasferito prima al carcere di San Vittore, dopo aver fatto tappa in quelle di Parma e di Piacenza, poi a Bergamo, arrivando infine a Verona nella prigione militare tedesca di San Leonardo. Così ricorda Cinelli:

L’ingresso nel forte mi fece una grande impressione: passammo davanti a tre celle buie dove si trovavano i condannati a morte. (…) Ci rinchiusero con altri otto prigionieri in una piccola cella dove c’era il ‘gibbel’ [il bugliolo], costituito da un vaso di terracotta con un coperchio e due manici di ferro per poterlo sollevare quando era pieno. [Più tardi] ci portarono tutti al piano superiore dove eravamo in trenta e si dormiva su un bancone senza coperte. Al San Leonardo c’erano dei prigionieri italiani che facevano la guardia ad altri prigionieri ed erano più feroci dei carcerieri. (…) Un giorno ne entrò uno nella cella e chiese quali erano i prigionieri che avevano la minore pena da scontare. Si sparse la voce che chi aveva una piccola pena veniva mandato a lavorare in ferrovia e tutti speravano di poterci andare per tentare la fuga. Io e il mio compagno fummo portati con altri cento prigionieri in una stanza piccolissima (…). All’alba ci schierarono nel cortile, dove c’erano già una cinquantina di prigionieri. Ci caricarono su dieci camion e ci condussero a Verona, dove fummo fatti salire sul treno. Viaggiammo un giorno intero senza mangiare, passammo il confine e arrivammo in Germania. Noi italiani fummo condotti nel carcere di Friburgo. Ci misero in un braccio al quarto piano. Anche se il carcere era molto antico, nella cella c’era un gabinetto.

Nel giugno 1944 Cinelli e alcuni altri detenuti italiani, insieme anche a condannati tedeschi, sono condotti alla stazione ferroviaria di Friburgo e caricati su un convoglio diretto a nord. Il racconto prosegue:

Con quel treno fummo condotti a Torgau. La prigione era in un forte che faceva paura solo a vederla da lontano. Era [Fort Zinna] una antica costruzione di forma circolare a due piani. Molti prigionieri, tra i quali anche alcuni italiani erano incatenati al muro. Ci misero in una "stube" costituita da una lunga costruzione in legno divisa in scompartimenti che contenevano cinquanta prigionieri divisi per nazionalità. (…) La sveglia era alle quattro e si andava in un’altra baracca di legno dove, lavorando su alcune file di banchi, dovevamo estrarre i poli di zinco e di rame dalle pile scariche per poterli riciclare. In una giornata doveva essere fatta una certa quantità di lavoro: se non ci si riusciva, erano botte. Quando finivamo di lavorare eravamo sporchi, ma non ci si poteva lavare.

Cinelli racconta anche di essere stato inviato al lavoro, per un giorno solo, anche in una fabbrica di porcellana, raggiunta a piedi dalla prigione. Si tratta evidentemente della Villeroy & Boch, che impiegava abitualmente anche manodopera forzata del carcere.

Più tardi è inviato insieme ad altri italiani verso una nuova destinazione che lui ricorda come “Wildflech” (in realtà Wildflecken), «dove i tedeschi avevano costruito una caserma con molti cannoni, carri armati e altri armamenti». Grande centro di addestramento e deposito della Wehrmacht, Wildflecken fu in realtà meta di lavoro temporanea per molti dei prigionieri italiani che arrivarono a Torgau. Lì Cinelli è impiegato per lavori di fatica, prima con dei prigionieri polacchi per scavare un macero, poi a tagliar legna nei boschi del circondario; se non altro, aggiunge, «in quel campo si mangiava un po’ meglio degli altri». Riportato a Torgau, ritrova il compagno che era partito con lui da Bologna. In quei giorni, riferisce, vede arrivare una ventina di prigionieri italiani: «erano tutti carabinieri graduati in divisa. Erano stati condannati perché non volevano più combattere a fianco dei nazifascisti».

Un ulteriore trasferimento lo porterà in un campo di lavoro presso una polveriera, dove resterà fino alla fine della guerra. La sistemazione di Cinelli è in una baracca con altri cinquanta italiani. Si dormiva in un letto a castello, con una sola coperta, «in mezzo a grande sporcizia, con insetti di ogni genere e topi che giravano dappertutto». Il polverificio era composto da diversi reparti dove si fabbricavano proiettili di artiglieria.

Si trattava di un lavoro pesante e molto pericoloso. (...) Era il settembre del 1944. Io facevo parte della squadra n.1 che lavorava nel reparto in cui arrivavano i bossoli dal fronte: si toglieva la spoletta già usata e se ne inseriva una nuova con la polvere da sparo. (…) Il lavoro di riempimento delle granate con la polvere lo facevamo con le donne russe.

La posizione del polverificio è indicata da Cinelli a circa trenta chilometri da Norimberga, una collocazione che desta qualche perplessità perché in seguito racconta di aver assistito in febbraio ad un grande bombardamento degli inglesi «su Norimberga»: «ci fu un massacro della popolazione civile, e la città bruciò per molti giorni. Si vedevano le fiamme a venti chilometri di distanza. Finiti gli incendi, per alcune settimane metà dei prigionieri del campo, tra cui una squadra di italiani, venne mandata a rimuovere le macerie e a cercare i feriti». Il dubbio è che si tratti in realtà del bombardamento che nel febbraio 1945 colpì Dresda. Il suo racconto si conclude descrivendo le ultime caotiche settimane di guerra nei pressi del confine ceco, fino all’arrivo delle truppe sovietiche, e al successivo rientro da un campo profughi americano.


FONTI A STAMPA E ARCHIVISTICHE:

– Cinelli Ferdinando, Italiener, nehme dieses brot! Italiano, prendi questo pane!, Roma, Arti Grafiche San Marcello, 1998, 64 pagine.

– Andrea Ferrari, Nelle prigioni del Terzo Reich. Detenzione e lavoro forzato degli italiani carcerati in Germania 1943 - 1945, Roma, Novalogos editore, 2021, pp. 122-125

Rif: CARCERATO NEL REICH-2328



Informativa sui Cookie | Cookie Policy