Pasquali Bruno, «Guerrino, Pino», da Luigi e Virginia Galanti, nato il 29 ottobre 1908 a Castel Guelfo (BO); lì residente. Licenza elementare. Giardiniere.
Schedato nel Casellario Politico Centrale tra il 1939 e il 1943 come comunista.
Il Dizionario biografico degli Antifascisti di Bologna e provincia riporta le seguenti note.
Iscritto al PCI dal 1935. Nel dicembre 1938 venne arrestato, con altri 77 militanti antifascisti, perché accusato di «organizzazione comunista». Deferito al Tribunale speciale il 16 giugno 1939, il 27 luglio fu condannato a 5 anni di carcere per «associazione e propaganda sovversiva». Chiese la grazia, ma la sua domanda venne respinta. Il 22 dicembre 1941 fu rimesso in libertà. Il 17 giugno 1943 nella sua pratica fu annotato: «Viene vigilato».
Subìto dopo l'8 settembre 1943 fu tra i primi organizzatori dei gruppi armati cittadini con Giordano Walter Busi, Luigi Gaiani, Vittorio Gombi, Walter Nerozzi, Remigio Venturoli e altri. Nell'ottobre 1943 si reco a Guiglia (MO) e diede vita, con altri, a una formazione partigiana chiamata «Pisacane». Il gruppo svolse una modesta attività militare e venne sciolto quasi subito, perché privo di un'adeguata organizzazione e di collegamenti con i CLN di Bologna e Modena. Tornato a Bologna, prese parte a numerosi attentati contro le sedi tedesche e locali pubblici frequentati dai nazifascisti. Il 26 gennaio 1944, con Ermanno Galeotti e Venturoli, giustiziò il federale fascista Eugenio Facchini nella sede della mensa universitaria in via Zamboni 29. Mentre si stava allontanando in bicicletta lungo la via del Guasto, venne raggiunto a una spalla da un colpo di rivoltella sparato dal vice federale Walter Boninsegna. Riportò una ferita non grave dalla quale guarì senza farsi ricoverare in ospedale.
Qualche mese dopo si sposto nel Ferrarese ed entrò a far parte della 35a brigata Garibaldi «Rizzieri». Il 7 giugno 1944, per una delazione, fu arrestato a Pontelagoscuro (FE) dove si era recato per incontrarsi con alcune reclute. Della sua detenzione ha scritto un lungo rapporto, conservato nell'archivio del PCI e pubblicato nel 1970, con il titolo «Fuga dalle grinfie dei fascisti», nel «Quaderno n. 9-10 de "La Lotta"». Venne portato in aperta campagna e subì una finta fucilazione. Dopo molti maltrattamenti lo portarono a Bologna in auto. Nei pressi della località Corticella l'auto si fermò, perché era stata suonata la sirena dell'allarme aereo, e i fascisti che lo scortavano ne approfittarono per inscenare una nuova fucilazione. Poiché anche questa volta non disse i nomi delle persone con le quali avrebbe dovuto incontrarsi ne quelli dei dirigenti della brigata, i fascisti gli applicarono al braccio destro un giornale imbevuto di benzina e gli diedero fuoco. Resistette al dolore e quando venne suonato il cessato allarme i fascisti lo portarono nella caserma di via Magarotti (oggi via dei Bersaglieri). Dopo duri maltrattamenti, ha scritto Pasquali, un tenente della GNR «propose di attaccarmi ad una catena coi piedi e di mettermi giù per il pozzo. Non si discusse e si passo ai fatti. Non so quanto tempo rimasi in quella posizione; so solo che ebbi l'impressione che i polmoni mi scoppiassero. Tirato su fui sdraiato di nuovo sulla barella con la testa dentro ad una bacinella piena d'acqua e si fece il turno a gettarmi acqua su tutto Il corpo. Suppongo che fossero già le 17 circa quando passo di lì il dottore che fu chiamato ed interpellato per occuparsi del mio stato di salute. Questi mi si appressò e messomi lo stetoscopio per qualche secondo sul petto, ordino immediatamente di andare a prendere una iniezione di morfina e di alzarmi. Io avevo quasi perso la percezione di tutto ciò che succedeva attorno a me. Fattami la puntura mi riebbi di nuovo. Sempre il dottore ordinò di avvolgermi in un paio di coperte e di portarmi a riposare. Mi si porto infatti dentro una specie di porcile e mi si sdraiò sulla paglia. Ebbi l'impressione di sdraiarmi su un letto di piume». Nei giorni seguenti venne a lungo torturato, mentre le ustioni al braccio avevano cominciato a infettarsi. Per sottrarsi alla violenza si mise a ridere e a fare gesti strani come se fosse impazzito. Quando il medico constatò le gravi condizioni delle ustioni, ordinò che venisse trasferito nell'infermeria del carcere di San Giovanni in Monte (Bologna), dove ricevette le prime cure.
Per evitare di guarire e di essere riportato nella caserma della GNR, Pasquali, come si legge nel suo scritto, fece sulla ferita «una spalmata di Antipiol, medicamento questo che, oltre ad agire come assorbente di pus, tende anche a disgregare i tessuti. Il risultato non si fece attendere perché verso le tre del mattino, alzandomi per andare a orinare, fatti pochi passi, mi accorsi che il sangue usciva a fiotti dalla fascia». Per evitare che morisse dissanguato fu trasferito all'ospedale Sant'Orsola dove i medici, vista la gravità della situazione, decisero, poi ci ripensarono, di amputargli il braccio. Venne curato e quando ritenne di avere recuperato le forze, evase nella notte tra il 10 e l'11 luglio, grazie all'aiuto di alcuni infermieri che avevano appoggiato, non visti dai militi di guardia, una scala a pioli alla finestra. Trovò rifugio nell'abitazione di una infermiera e qui fu curato dal dott. Fabio Fabbi. In seguito fu trasferito in un altro appartamento, fuori porta D'Azeglio, dove fu curato dal prof. Giovanni Giuseppe Palmieri. Nel dopoguerra Palmieri ha scritto: «Ascoltato il racconto (delle torture subite), lo visitai e trovai le orribili piaghe, ma soprattutto trovai un corpo che pareva fatto soltanto di pelle e d'ossa e diafano, come fosse di cera». Impiegò più di un mese per guarire completamente e recuperare le forze.
Sui registri-matricola del carcere risulta il suo ingresso il 21 giugno 1944 (proveniente da «camera di sicurezza»), con matricola 11089, a disposizione del «Comando 67a legione GNR - ufficio politico», e la sua uscita in data 26 giugno 1944, con le seguente annotazioni in colore rosso: «Ferita al braccio destro. Il 24-6-1944 ricoverato al Sant’Orsola. Il 4-7-1944 evaso dal Sant’Orsola (fonogramma n.ro ... del Battaglione Ausiliario Ag. PS».
Successivamente si aggregherà a un battaglione della 1a brigata Garibaldi «Irma Bandiera», riprendendo l'attività di guerriglia in città.
È catturato il 14 novembre insieme ad altri partigiani nel corso di un vasto rastrellamento inel quartiere Mazzini. Sulla sua cattura è disponibile una dettagliata testimonianza della staffetta Paola Rocca, che fu arrestata con lui (*).
Io abitavo al n. 48 di via Emilia Levante; era un grande edificio che comprendeva porte fino al n. 68 e fu proprio in un appartamento del n. 68 che nel novembre 1944 venne ad abitare un giovane che si faceva chiamare Guerrino, ma era Bruno Pasquali. Più tardi venne un altro giovane, Walter Busi, detto Michele. Questo appartamento era frequentato da un partigiano tedesco, il quale aveva combattuto a porta Lame, e da altre persone, tra le quali vi era Antenore Piva, che abitava al n. 66 e poteva accedere all'appartamento senza passare dal cortile, in quanto l'appartamento stesso aveva due entrate. Piva aveva il compito di rifornire di viveri i partigiani. Dal n. 70 al n. 76 vi era una formazione partigiana sistemata in appartamenti di gente sfollata; questa formazione partigiana fu mandata via pochi giorni prima del 14 novembre 1944. Quel giorno, alle ore 14,30, mi trovavo alla finestra quando vidi arrivare molti tedeschi in assetto di guerra, con carri armati, camion, mitraglie e mitra alla mano. Circondarono la zona: via Oretti, Emilia Levante, vivaio «Ansaloni» e incominciarono il rastrellamento in tutte le case dal 48 al 76 di via Emilia Levante. Tutti gli uomini vennero presi e fatti salire su di un camion. Fra questi vi erano Pasquali e Piva. Mentre assistevo a questa scena vidi arrivare Walter Busi che stava rincasando; non fece in tempo ad accorgersi del pericolo che lo minacciava e immediatamente fu circondato dai tedeschi e fatto salire, con le mani alzate, sul camion con gli altri. Ignoro se fosse armato. Arrestarono in tutto 17 uomini e 2 donne: io ed una donna di 64 anni abitante al n. 70, presa mentre; tercava in cantina della roba di suo figlio. Verso le 16 tolsero l'accerchiamento e ci portarono con loro lasciandoci tutti insieme in un camion. Così ebbi modo di parlare con Pasquali e con Busi, il quale disse di avere visto poco prima dell'arresto un suo famigliare. Infatti aveva incontrato poco prima la sorella Cordella. In un primo tempo ci portarono in via Magarotti, dentro la caserma. Pasquali disse: « Se ci fermiamo qui per me è finita », spiegando che proprio lì poco tempo prima era stato torturato. Infatti, era stato torturato dallo stesso Tartarotti in quella caserma, poi lo avevano mandato al Sant'Orsola piantonandolo, ma qui, con l'aiuto di molti amici era riuscito a fuggire. Fortunatamente qui non ci vollero e fummo portati in via Manzoni, ma neanche lì, benché i tedeschi discutessero a lungo con le brigate nere, riuscirono a farci entrare. Proseguimmo allora fino alla caserma di artiglieria di porta San Mamolo e, non trovando ospitalità, decisero di portarci nelle carceri di San Giovanni in Monte. Appena giunti ci consegnarono al carcere che era in mano dei fascisti. Fino a questo momento eravamo solo dei rastrellati. L'attenzione dei fascisti fu subito attratta da Pasquali e Busi. Uno di loro che poi dissero essere Tartarotti [in realtà si tratta di un altro milte o ufficiale della GNR, essendo certamente il Tartarotti in quel momento altrove da Bologna], chiese a Busi: « Come ti chiami? » Busi disse il nome di battaglia Michele. [Il milite o ufficiale fascista] allora disse: « No! Tu sei Walter Busi, finalmente ti abbiamo preso e ti uccideremo! » Busi rispose: « Fate pure, dietro di me ce ne sono migliaia! » Tutti gli altri uomini vennero messi a confronto con quel partigiano tedesco, il quale fu costretto, sotto tortura, a riconoscere quelli che frequentavano il n. 68. Tutti quelli che aveva visto in quella casa sono morti. Dopo sette giorni che ero in carcere mi portarono in via Santa Chiara per l'interrogatorio. Mi chiesero notizie della formazione partigiana che si trovava nei pressi della mia abitazione, però non mi chiesero mai di Pasquali e di Busi. Mi difesi bene asserendo che da casa mia non potevo vedere nulla. Ritornata al carcere fui messa con altre persone su un camion; molti erano malconci per le torture. Un uomo mi disse di avere visto Busi e Pasquali morti in una cella del carcere di San Giovanni in Monte, assieme ad altri tre che non conoscevamo.
Esiste dunque la possibilità che Bruno Pasquali, Giordano Busi ed altri siano stati uccisi nei locali stessi del carcere, anziché essere portati insieme ad altri partigiani alla fucilazione al Poligono di tiro attuata il 18 novembre, con i quali comunque potrebbero essere stati poi seppelliti in una fossa comune della Certosa di Bologna. Questa versione risulterebbe anche nel testo di una denuncia presentata il 2 maggio 1945 dai famigliari di Bruno Pasquali contro il milite fascista Lubrano Venturoli, accusato di aver partecipato, insieme ad un certo Franchini, agli interrogatori di Pasquali da parte tedesca, fornendo informazioni ed effettuando il riconoscimento dello stesso, che al momento dell'arresto aveva con se documenti identità intestati ad un certo Luigi Nozzi. Secondo la stessa denuncia il Venturoli e il Franchini, «per spirito bestiale e malvagio si prestarono a dare man forte agli agenti tedeschi fino al punto di assassinarlo a percosse» (**).
In proposito però mancano ulteriori riscontri oggettivi. Quello che è possibile documentare con sicurezza è che sui registri di San Giovanni in Monte non compare il nome di Bruno Pasquali se non per il suo arresto in giugno. In entrata il 14 novembre 1944 con il gruppo di rastrellati nel quartiere Mazzini risulta il suo alias, Luigi Nozzi, residente a Bologna, nato a Montese il 28 ottobre 1908, ovvero il giorno prima di Bruno Pasquali. Il Nozzi/Pasquali è registrato con matricola 12225, a disposizione del comando tedesco SS, e in uscita per «rilascio» il 18 novembre. È dunque probabile che Pasquali sia stato riconosciuto ma la sua identità non sia stata corretta sul registro. Sulle effettive circostanze di detenzione, interrogatorio e uccisione di Pasquali e Busi rimangono dunque ad oggi molte incertezze.
Bruno Pasquali è stato riconosciuto partigiano dall'apposita Commissione regionale, con ciclo operativo dal 9 settembre 1943 al 14 dicembre 1944.
NOTE:
(*) testimonianza di Paola Rocca, in Luciano Bergonzini, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, Bologna, ISB 1970, vol. III, pp. 127-129
(**) la denuncia si trova in copia negli archivi dell'istituto Parri, fondo ANPI Bologna, busta 26, fascicolo 123. In proposito rimandiamo a quanto è emerso dall'importante lavoro di ricerca storica svolto dagli studenti dell'istituto I.T.C.S. Rosa Luxemburg, di Bologna, consultabile nel sito "Staffette della Memoria" dell'istituto stesso al seguente indirizzo: http://www.luxemburg.bo.it/staffettememoria. Ringraziamo la prof.ssa Monica Bergamaschi per avercelo segnalato.
- Dizionario biografico degli Antifascisti di Bologna e provincia
- Registri matricola del carcere di San Giovanni in Monte