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I TESTIMONI, LA MEMORIA
testimonianza di

Cohen Giulia

Nata il 27 giugno 1928 a Bengasi (Libia)
Località di internamento: Camugnano
Deportata a Fossoli, Bergen Belsen, Vittel
È sopravvissuta
nessun numero assegnato

Testimonianza di Giulia Cohen. Sintesi da: Anna Pizzuti, Giulia Cohen racconta. Da Bengasi a Bergen Belsen, passando per l’Italia (1942 – 1945): la testimonianza, la storia. L'intervista è stata raccolta dal nipote, Haim Varda.

Siamo grati ad Anna Pizzuti e Haim Varda per averci concesso la riproduzione.

R: Io mi chiamo Giulia Cohen, figlia di Aron Cohen e Misa Rubin Sono nata a Bengasi nel 1928. Ho vissuto a Bengasi fino alla guerra, fino al 1942.

D: Zia Giulia, vogliamo sapere del fascismo e del tempo prima della guerra.

R: I fascisti hanno obbligato gli ebrei ad aprire i magazzini e i negozi nel giorno del sabato e noi eravamo molto religiosi. E hanno detto che tutti gli ebrei dovevano aprire i negozi, per legge. Se non li aprivano avrebbero avuto molte punizioni.

D: E un’altra cosa: le scuole?

R: Nelle scuole bisognava andare ogni giorno, anche il sabato. Era nel tempo di Italo Balbo sì che hanno fatto queste leggi? Sì.

D: Adesso vogliamo sapere come voi avete [reagito] a questi ordini. Prima c’era amicizia con gli italiani e poi è cambiato così. La famiglia come ne ha parlato?

R: Era molto, come si dice triste, molto triste, preoccupata, per noi lavorare il sabato è molto male, per la nostra religione, sì.

D: Ma voi come avete fatto?

R: Mio padre ha messo nel negozio uno di noi, bambini, non poteva vendere, lavorare, solo stare così: non vendere, non toccare.

D: Zia Giulia, ora sul periodo quando i fascisti cominciarono a fare le leggi contro gli ebrei, che cosa è [accaduto], cosa erano?

R: Nel 1938 hanno detto che gli ebrei non potevano andare a scuola.

D: Che cosa avete capito, perché prima avete molto amici con gli italiani e con arabi, come avete [reagito a] questo?

R: Noi non abbiamo saputo perché, cosa successe. In questo tempo [avevamo] molta paura.

D: Avete, dal 1938 fino al 1941, vissuto con [queste leggi dei] fascisti: come avete vissuto, in questo tempo?

R: Questi tre anni prima di tutto erano anni molto difficili perchè è cominciata la guerra e tutte le notti [venivano] degli aeroplani per bombardare e noi abbiamo avuto paura. Volevamo andare nei rifugi ma non era possibile con tutta la famiglia, piccoli, grandi, vecchi. [Finalmente] vengono gli inglesi e noi abbiamo molto piacere, siamo contenti che sia finita la guerra . Dopo che gli inglesi sono andati via da Bengasi, come si dice, [in] ritirata, mio padre è partito con loro, è andato in India. Molta gente da Bengasi è scappata con gli inglesi.

D: E non aveva paura per la famiglia?

R: Lui credeva che, forse, prendevano solo gli uomini.

D: E come come vi hanno detto che bisognava andare [in Italia]?

R: Una persona che era responsabile per la Comunità è venuta e ha detto: “Domani mattina dovete essere preparati tutti”

D: Allora un giorno all’altro dovevate essere pronti.

R: Mia sorella era molto malata, l’hanno presa dal letto e noi eravamo otto bambini e la mamma, senza il padre.

D: Dove siete arrivati prima?

R: Due giorni siamo stati nella strada, in camion, una notte abbiamo dormito nel camion. Siamo arrivati a Tripoli. A Tripoli hanno messo tutta la famiglia in carcere. Circa per tre mesi siamo stati a Tripoli. In questo carcere c’erano molti ladri, criminali, era molto sporco, non avevamo il mangiare, vestiti, niente eravamo in situazione minimale.

D: E dopo tre mesi a Tripoli?

R: Dopo tre mesi siamo partiti in nave, sì.

D: Chi vi ha detto che bisogna partire, chi è venuto a dire, italiani?

R: Sì italiani.

D: E siete partiti da Tripoli per …?

R: La Sicilia e dopo in treno fino a Bologna.

D: E a Bologna cosa è successo?

R: Niente a Bologna. Da Bologna [siamo andati a] Camugnano, piccolo villaggio.

D: Siete arrivati la notte o la mattina? Siamo arrivati alla notte e loro: chi arriva, chi arriva? Loro non sapevano niente di noi.

D:E quando siete arrivati dove avete dormito?

R: Noi eravamo in una casa a Camugnano, una piccola casa era e noi eravamo 44 persone (44 persone!!!) 20 bambini, siamo stati tutti insieme.

D: Quante camere?

R: Questa casa era molto piccola, noi eravamo la famiglia più grande e noi abbiamo avuto una grande stanza.

D: Gli abitanti vi hanno ricevuto bene?

R: Loro non sapevano da quale parte noi venivamo, credevano che noi eravamo africani. Ma dopo un giorno, due giorni sono venuti da noi con la musica, hanno fatto come una grande – come si dice – gioia. Erano molto felici con noi. Uno aveva un acordion [organetto]e ha fatto musica e abbiamo ballato con i cittadini.

D: Giulia, adesso tu mi racconti un po’ come è finito Camugnano, come è successo.

R: Eravamo a Camugnano da quasi due anni, un giorno sono venute due automobili. Loro hanno detto: adesso tutti andiamo, venite tutti e hanno preso pistole e hanno detto: nessuno farà niente, venite fuori. Io e mia mamma siamo andate nella camera di bagno per cambiare i vestiti. Lui era un uomo un soldato con la pistola: andate fuori non fate niente. Io ho [messo i miei ] vestiti uno [sull’]altro e anche la mia mamma. Noi abbiamo avuto due vestiti, siamo molto ricchi. Gli altri hanno solo un vestito. Siamo andati con loro con due automobili piccole [camion?], non grandi, eravamo 44 persone, tutti insieme, come sardine. Siamo andati da Camugnano a carcere a Bologna.

D: E come era questo carcere?

R: In ogni camera eravamo quasi 10, 12 persone.

D: Che cosa era prima questo carcere, un convento?

R: Credo che [si chiamasse] San Donato [in realtà era il carcere giudiziario di San Giovanni in MOnte]. C’era una camera, c’erano suore. Suore, sì, suore ci hanno chiuso dentro una camera.

L'intervista si interrompe a questo punto della storia. Giulia non se l'è sentita di raccontare il successivo trasporto a Fossoli e al lager di Bergen Belsen, da dove fu infine trasferita al campo di internamento di Vittel, in Francia, e lì liberata nell'estate del 1944.

Rif: I TESTIMONI, LA MEMORIA-2099



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