ebreo anglo-libico detenuto a Reichenau
Testimonianza di un anonimo ebreo anglo-libico già internato a Bazzano nel 1942-1943, raccolta nel dopoguerra da Miriam Novitch, in lingua francese, con il titolo: Au camp de concentration de Reichenau-Innsbruck. Récits de rescapés. (Al campo di concentramento di Reichenau-Innsbruck. Storie di sopravvissuti).
Tra parentesi quadre i nominativi citati nell'intervista così come risultano nelle schede in questo sito.
Noi siamo un gruppo di ebrei nativi di Tripoli e di Bengasi. Noi abbiamo passaporti inglesi che abbiamo avuto dai nostri padri o antenati originari di Gibilterra. A seguito della dichiarazione di guerra dell’Italia agli Alleati noi fummo arrestati e trasferiti in Italia. La siamo stati messi in residenza forzata a Bazzano. I nostri guai sono cominciati quando l’Italia è stata occupata dai tedeschi. Il primo ottobre 1943, all’alba, verso le 6, fummo svegliati dal rumore di camion pesanti, che noi credevamo passassero sulla strada vicina, ma subito dopo sentimmo forti colpi sulla porta, aprimmo e davanti a noi apparve una gruppo di SS armate di mitra e fucili. Noi non sapevamo il tedesco, ma capimmo che erano venuti a prenderci. Ci lasciarono 10 minuti per preparare i nostri bagagli. Velocemente, la paura ci fece mettere nelle casse e valige tutto quello che ci capitò sottomano. I nostri bagagli furono gettati su un camion e noi fummo fatti salire su un altro sorvegliati da SS. Erano una ventina, uomini tra i 20 e 30 anni; noi eravamo 54 persone. C’erano fra noi 25 bambini, 5 donne anziane e 3 vegliardi. Arrivati a Bologna capitammo proprio in occasione di un allarme aereo [effettivamente avvenuto in tale data con il bombardamento da parte di 4 aerei alleati] e solamente quando i nostri bambini si misero a piangere per la paura fummo portati in un rifugio sotterraneo, dove siamo restati 4 ore, senza un pezzo di pane per i nostri bambini e senza bere, sempre sorvegliati dalle SS con la la baionetta sul fucile. In seguito fummo fatti salire su un vagone merci per il trasporto animali, dove la metà fu occupata dai nostri bagagli, noi tutti stretti, senza aria e senza acqua; la Croce Rossa ci ha distribuito solo un pezzo di pane per persona e una mela, e soprattutto abbiamo iniziato un viaggio molto scomodo, con un solo secchio per tutte le 54 persone, un viaggio orribile, a cui credevamo di non sopravvivere, che durò due giorni e una notte. Disperati, noi battevamo sulla porta quando il treno faceva sosta, ma la Croce Rossa non venne più al vagone, perché le SS che ci accompagnavano urlavano «Ebrei! Ebrei!».
Alle ore 11 del mattino il treno si fermò. Eravamo 12 uomini, messi stretti in una piccola vettura, come veri criminali, mentre le nostre donne furono messe su un altro camion e le due vetture si diressero verso Reichenau, vicino a Innsbruck, in un «arbeitserziehungslager», un campo di rieducazione al lavoro. Più tardi capimmo quale genere di educazione le SS volevano darci.
Al nostro arrivo vedemmo dappertutto un numero di sentinelle che ci ha sorpreso. Tutte armate di mitra e una mitragliatrice e un vero piccolo cannone era stato posizionato nel recinto del campo e un soldato si teneva accucciato a terra come fosse pronto a sparare. Tre uomini furono incaricati di scaricare i bagagli, e quando noi abbiamo voluto aiutarli a spostare le casse più pesanti, fummo picchiati. In seguito ci fu ordinato di metterci faccia al muro, e fummo perquisiti in un modo che rasentava il ridicolo; cercavano addirittura negli orli dei nostri fazzoletti, in tutte le nostre tasche, spogliandoci delle nostre sigarette, dei nostri fiammiferi, rovistando tra i capelli. Al signor Beniamino Reginiano trovarono un dizionario Inglese-Italiano e lo fecero a pezzi con rabbia. Così come il passaporto inglese di M. Labbi [signor Labi]. Lui solo aveva conservato i propri documenti, mentre tutti i nostri passaporti si trovavano presso le autorità italiane. In seguito, noi fummo tutti insieme spinti nella baracca delle docce, le nostre donne e le nostre figlie dovettero attraversare il cortile per recarsi in un’altra doccia, per disinfettarsi. E dopo la doccia, quale triste sorpresa, tutti i nostri vestiti furono confiscati, le SS ci gettarono dei vecchi abiti e una sola camicia per persona. Tutti i nostri bagagli furono confiscati così come tutti i nostri oggetti d’argento i nostri bellissimi e preziosi gioielli, una vera fortuna. Noi avevamo nella famiglia Labi tre ragazze di 23, 20 e 17 anni che come Rita e Lisa avevano già, secondo le usanze orientali, tutta la loro dote preparata e chiusa in bei bauli, biancheria ricamata, coperte, ecc. Due altre ragazze, Delji [Delly Sutton] e Communa [Kamuna Reginiano], avevano anche delle pellicce. E non soltanto i nostri abiti ma anche delle provviste che avevamo portato con noi. Pane bianco e latte condensato divennero regalo alle SS del campo, a tutti gli «unter» e «ober» fuehrer. Ci chiusero nelle nostre baracche di legno e ci fu distribuito solo un po' di caffè, senza un pezzo di pane, e in più tutti noi [uomini] fummo dal primo giorno separati dalle nostre donne e dai bambini. E fummo chiusi a chiave, insieme alla nostra fame e alla nostra disperazione come compagni.
Ci hanno preso anche le nostre scarpe che hanno sostituito con grossi zoccoli. Eravamo 18 uomini nella nostra baracca. Ebrei e cristiani. I nostri camerati avevano già dei moribondi. Erano sottoposti a lavori forzati.
Bisognava alzarsi alle 5, e lavarsi fuori nudi, con acqua ghiacciata. Due nostri cugini, che portavano lo stesso nome, Qhalom [Scialom] Reginiano, furono assegnati al lavoro. Alle 5h30 dovevano essere già pronti per partire verso la montagna dove si trovava il cantiere di lavoro. Per tutte le 11 ore dovevano caricare dei vagoncini con sabbia e pietre. Il loro nutrimento consisteva in un po' di acqua calda il mattino e un piccolo pezzo di pane, a mezzogiorno una zuppa, acqua in cui navigava qualche foglia di insalata o spinaci. La nostra razione era esattamente la stessa. I padri e le madri di questi giovani, durante i sette mesi del nostro soggiorno si privarono della loro razione di pane per darla ai bambini affamati. Dopo due mesi di questo regime, i due giovani presero lo stesso aspetto degli altri forzati: scheletri, coperti da una pelle gialla, che si muovevano senza sapere come, senza dubbio perché avevano 20 anni ognuno e prima erano di una salute e di una forza eccezionali. Tutti i giorni un camion veniva a prendere i cadaveri. Tutte le notti c’era chi moriva, sia a seguito del lavoro sia nel loro letto, la loro agonia era talmente silenziosa che solo al mattino ci si accorgeva che erano morti. C’era anche chi moriva sotto le bastonate, le frustate, o anche a causa di esercizi punitivi. Il sabato dopo mezzogiorno e il giorno della domenica erano consacrati alle punizioni, divertimento per le SS del campo. C’era fra le SS Falk Bayer Jacques, e uno sloveno di nome Enko, che ci picchiavano senza pietà dicendo che certi altri dei loro «capi» avevano carta bianca riguardo agli ebrei inglesi o altri, e ci andava anche bene perché se lo avessero fatto anche loro avrebbero ricevuto una ricompensa.
Così ogni pretesto serviva per punire duramente soprattutto con colpi di bastone, 25 colpi era il minimo. La madre di Chalom [Scialom] Reginiaino disfece un suo vecchio pullover per fare un paio di calze e cercò di passarle al suo povero figlio, che non aveva che un po' di paglia nei suoi zoccoli. Gli occhi delle SS erano dappertutto, una SS aveva visto il suo gesto e il ragazzo fu punito con 25 colpi di bastone sulle spalle, colpi da rompere le ossa. E poi ancora colpi sulle dita, e poi la vittima che si torceva dal dolore faceva ridere le SS.
Victor Labbi [Labi], la cui moglie fu ricoverata all’ospedale e che era rimasto senza notizie osò domandare a un «capo» come stava sua moglie? Come risposta ricevette tanti colpi che i segni rimasero per molti mesi.
Tra le donne prigioniere c’erano delle russe, prigioniere civili, che erano lasciate morire lentamente di fame. Una SS ordinò una mattina ad una giovane ragazza russa di pulirgli gli stivali. Sono una cittadina sovietica, non pulirò mai gli stivali di una SS. Fu talmente picchiata, che tre giorni dopo quando uscì fatta uscire dalla branda non potevamo riconoscerla. Il suo volto era blu quasi nero, per tre giorni era stata lasciata senza bere e mangiare.
Le nostre baracche dovevano essere tenute in condizioni tali che noi tutti i giorni dovevamo pulirle a fondo. E quando un giorno abbiamo chiesto uno straccio per pulire per terra, ci fu risposto di farlo con le nostre lingue o con le nostre camicie. Dovevamo anche lavare i nostri letti di legno e le travi del soffitto. Le SS che ci sorvegliavano erano giovani di 18 o 20 anni, venivano nelle nostre baracche mettendo sul tavolo una sedia e salendovi toccavano il soffitto, e se restava un po' di polvere allora poveri noi. Dovevamo non solo rilavare tutto, ma eravamo anche battuti. Era soprattutto di sera che venivano a controllare la situazione, venivano anche per fare l’appello, dovevamo aspettarli sull’attenti anche se pioveva. Una sera il vecchio Vittorio Reginiano non tenne la testa abbastanza dritta, era un uomo di 83 anni e le giovani SS lo ridussero che non poteva stare più in piedi, era questa senza dubbio la rieducazione che si proponevano di darci.
Un giorno la giovane Communa [Kamuna] Reginiano volle dire una parola a suo fratello tenendosi vicina alla finestra della baracca, una SS la vide entro nella baracca e la portò nel cortile, in pieno inverno, nella neve e nel vento dovette restare 5 ore, e togliendole anche la sciarpa dal collo. La giovane ha voluto aiutare un vecchio a portare un pesante secchio di acqua e fu picchiata per questo, per farle imparare che non bisogna aiutare gli altri.
Un giorno Benjamin Reginiano ritornava dalla cucina portando la sua razione di zuppa di acqua sporca, che si doveva essere veramente affamati come noi per ingoiare, una SS lo ferma, lo schiaffeggia sulle due guance e gli getta la zuppa per terra, così senza nessuna ragione per divertirsi un po'.
Un altro divertimento: Solmon [Salomone] Cohen fu messo un mattino con il ventre su una sedia e battuto senza pietà perché nella baracca una SS aveva trovato un po' di sporco su di una tavola.
Quando Innsbruck fu bombardata tutti gli uomini, ebrei e cittadini britannici furono picchiati finanche i ragazzi di 18 anni. Ci fu proibito di possedere sapone e asciugamenti. Una volta trovarono una vecchio asciugamano a un detenuto, che fu punito a bastonate.
Una maniera di punire erano le docce fredde, non semplici docce ma una annaffiatura di acqua gelata, sotto una pressione violenta. Una domenica dopo la nostra doccia calda, ci fecero uscire nel cortile e ci annaffiarono di acqua ghiacciata, era il mese di marzo, la giornata era fredda e stavamo in piedi a stento per la fame. La fame ci ossessionava, mangiavamo patate crude e anche foglie di spinaci senza lavarli, e poi soffrivamo il freddo perché la baracca degli uomini non era riscaldata. Una volta rientrati in baracca dopo una doccia di queste docce gelate, ci mettemmo a piangere per l’umiliazione e il dolore. Le nostre donne che si trovavano in una baracca di fianco separata dalla nostra da una parte in legno, fecero una piccola apertura e ci versarono un po' di surrogato di caffè caldo, che ci ha salvati da una congestione polmonare. Ma il giovane Chalom Reginiano di 27 anni, ragazzo intelligente e capace, cadde malato, e anche se con una forte febbre fu cacciato dalla baracca per andare a pelare patate, era così debole che non riusciva nemmeno a tenere in mano il coltello e per questa mancanza sul lavoro fu picchiato, l’indomani restò sdraiato e portato nella baracca chiamata «Krankenstube», baracca dei malati, o piuttosto dei moribondi, e una mattina il giovane Chalom morì, separato dalla sua famiglia e dai suoi amici. Quando la notizia della sua morte è arrivata alla madre, lei non voleva crederci, perché la notizia era arrivata da un cugino di Chalom, allora lei ha domandato a una SS se era vero che suo figlio era morto. «Kaput» lui rispose brutalmente, e per risposta al suo pianto e ai suoi lamenti ha sfoderato il revolver e la ha minacciata.
Tutti quelli che lavoravano erano condannati a morire lentamente di fame e di bastonate. Il loro aspetto era tragico, erano ombre in marci, e le nostre donne piangevano per la pietà. Certuni morivano facendo esercitazioni, perché spesso ci facevano correre nel cortile fino allo sfinimento. Dovevamo, per variare il gioco, saltare come rane. Immaginatevi un uomo di 80 anni che si mette a saltare davanti a una giovane SS di 18 anni, che ride ai salti. Tutti quelli che morivano di sfinimento o di fame erano indicati nel loro registro come «morto di un attacco cardiaco”.
Un giorno tre detenuti riuscirono ad evadere, allora il responsabile del gruppo, un italiano chiamato Giuseppe anche lui detenuto fu punito rimanendo tre giorni senza mangiare e senza bere, e con 22 giorni di cella, non meraviglia dunque che quest’uomo uscì solo per morire di una attacco di cuore. C’erano molti detenuti non ebrei, ma erano trattati allo stesso modo. C’erano dei prigionieri politici che andavano ai lavori forzati, mostrandoci da lontano le loro mani sanguinanti. Una volta un prigioniero non aveva più la forza di tenere il pesante piccone e ha preso una pala al suo posto, è stato punito per questo con 20 minuti di doccia gelata e privato del suo pezzo di pane.
Il primo dell’anno fummo gratificati di un raro regalo. Dovemmo tutti giovani e vecchi correre nel cortile a gran velocità portando secchi pesanti, e guai se ne versavamo un po' nella neve, e ogni pochi metri le guardie ci aspettavano per darci bastonate. Tirava un vento gelido quel giorno, e noi eravamo coperti da pochi stracci. Per mesi abbiamo portato gli stessi vestiti che nemmeno le pulci volevano rosicchiare. E le SS ci deridevano per il nostro misero aspetto. Una SS fermò il giovane Victor Labbi [Vittorio Labi] domandando Perchè non ti sei rasato? Non ho nulla con cui rasarmi. Prendi un pezzo di vetro ma rasati, e si mise a tirare i peli della barba.
Tra le donne stesse condizioni di igiene senza sapone e senza biancheria di ricambio. Lavavano le loro sole camicie sfregando un po' di sabbia, le camicie si asciugavano e le rimettevano. C’era tra le donne una ebrea ungherese Madame Borman con suo figlio Ottavio di 18 anni: furono inviati da qualche altra parte con altri ebrei, probabilmente verso la Polonia.
Un giorno il giovane Chalom [Scialom] Reginiano, avendo voluto alzare il vecchio padre di 83 anni che era caduto nella neve fu picchiato dalle SS e per divertimento cominciarono a tirargli delle palle di neve sul volto.
Questa vita di inferno durò 7 mesi. Noi credevamo di non poter sopravvivere a quelle privazioni e alle botte. Un giorno il comandante ha ricevuto l’ordine di trattarci meglio, avevano senza dubbio ricevuto i nostri passaporti britannici. Il cibo fu il solito ma almeno non fummo più picchiati. E un mattino i nostri carnefici annunciarono che saremmo stati portati in un altro campo. Fummo preoccupati perché non sapevamo dove eravamo diretti, ma non potevamo immaginare che esistesse un campo più orribile del campo di rieducazione di Innsbruck.
Infine un mattino, all’alba, una SS ci svegliò: «Presto, dovete partire». E quando noi ci siamo precipitati a prendere i nostri vestiti, si è messo a ridere, era una notizia falsa, si voleva divertire un po'.
Qualche giorno più tardi la vera partenza fu annunciata, ma primadi partire dovemmo passare nell’ufficio del comandante per firmare un documento senza poterlo leggere, che ci fu poi in seguito tradotto.
1) I sottoscritti dichiarano che non hanno nulla da lamentarsi del regime Nazional Socialista
2) Per tutto il nostro soggiorno nello Arbeitserziehung Lager di Innsbruck siamo stati trattati bene, ben nutriti e abbiamo ricevuto tutta la assistenza medica necessaria.
3) Siamo rientrati in possesso di tutti i nostri beni: gioielli, abiti, biancheria, argenteria, ecc.
Volgare menzogna, perché non ci fu reso nulla. Una delle nostre ragazze aveva un cofanetto pieno di sterline, la sua dote, la scatola le fu resa ma al posto dell’oro c’era cotone. Hanno poi distrutto tutti i nostri documenti personali, lettere, fotografie, contratti, atti di nascita, ecc.
Lontani dagli orrori di Innsbruck non smettiamo di parlare e pensare alla nostra vita laggiù. E pensiamo a tutti quei martiri che rimasero ancora là a morire lentamente di fame e sofferenze. Pensiamo anche alle nostre due tombe lasciate là. Abbiamo perduto là tutti i nostri beni, ma quanti dei nostri correligionari hanno perduto la loro vita in campi ancora più orribili di quello di Innsbruck.
Documento redatto da Miriam Novitch.
Traduzione dal francese dei curatori di questo sito.
Il testo originale si trova in: ITS Digital Archive, Arolsen Archives, 1.1.26.3, 01012603 003.214. Bericht ueber das Lager Reichenau bei Innsbruck: https://collections.arolsen-archives.org/en/document/82193357 - a seguire fino a 82193362.