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FUCILATO AL POLIGONO

CESARINI EZIO

Nato il 28 agosto 1897 a Montebello Vicentino (VI)
Residente a Bologna (BO)
Arrestato il 4 gennaio 1944 a Bologna (BO)
Luoghi di detenzione: carcere di Bologna
Fucilato il 27 gennaio 1944 al Poligono di tiro
nessun numero assegnato

Cesarini Ezio, da Metello ed Eulalia Elodia Fuselli, nato il 28 agosto 1897 a Montebello Vicentino (VI); residente a Bologna. Diploma di scuola secondaria. Giornalista.

Il Dizionario biografico degli Antifascisti di Bologna e provincia riporta le seguenti note.

Iscritto al PSI e poi al PNF. Nel 1916 prese parte a una manifestazione socialista contro il "Giornale del Mattino", il quotidiano interventista della massoneria bolognese. Non fu arrestato, ma processato e condannato a 2 mesi e 20 giorni di reclusione e schedato. Richiamato nel 1917, prese parte alla guerra mondiale e restò invalido. Nel 1920 seguì i corsi dell'Umanitaria di Milano, la scuola che preparava i quadri del movimento socialista, cooperativo e sindacale. Dopo la strage di Palazzo d'Accursio, del 21 novembre 1920, si rese irreperibile, temendo di essere arrestato. Nel 1925 fu assunto a "il Resto del Carlino", con l'incarico di segretario di redazione. Nel 1927 - quando divenne obbligatoria per i giornalisti l'iscrizione al PNF, pena la perdita del lavoro - chiese la tessera e fu assegnato alla cronaca nera. Il 10 aprile 1930 venne radiato dall'elenco degli schedati e dei sovversivi. Nel 1933, quando Leandro Arpinati - il capo del fascismo bolognese - fu arrestato e mandato al confino, gli arpinatiani ebbero l'emarginazione. Il 31 dicembre 1933 venne licenziato dal giornale e gli fu ritirata la tessera del PNF. In una lettera inviata il 29 gennaio 1935 dal sindacato dei giornalisti al prefetto si legge: «Il Cesarini fu licenziato dal Resto del Carlino, in quanto si aveva ragione di ritenere che egli fosse legatissimo all’ambiente ballariniano (Franco Ballerini era l’amministratore del giornale, nda) ed arpinatiano». Per riavere la tessera del PNF, nel 1935 andò volontario alla guerra d'Etiopia, arruolandosi in un reparto di camicie nere. Fu uno dei fondatori e dei redattori del "Giornale di Addis Abeba". Tornato in Italia, gli fu restituita la tessera e rientrò a "il Resto del Carlino". Il 17 gennaio 1938, in via Rizzoli, incontrò Amilcare Bortolotti al quale chiese informazioni del nipote Enrico Bassi. Nell'occasione salutò Francesco Zanardi, ex sindaco di Bologna, che era in compagnia del Bortolotti. La scena fu notata da Alfredo Leati, segretario federale del PNF bolognese, il quale telefonò al direttore del giornale, Armando Mazza, per ordinargli di licenziare Cesarini. La mattina dopo lo convocò alla Casa del fascio - lo aveva fatto prelevare a casa da un'auto della federazione - e si fece consegnare la tessera del PNF, senza la quale non avrebbe potuto lavorare. Il 18 gennaio il federale informò la direzione del PNF che Cesarini era stato «punito col ritiro della tessera con la seguente motivazione: “alle dipendenze di un giornale della Rivoluzione, si accompagnava con elemento notoriamente nemico del Regime”». Pietro Pedrazza, segretario provinciale del sindacato giornalisti, così scrisse al segretario nazionale dei giornalisti: «Fu veduto una sera per la strada in compagnia dell’ex sindaco Socialista Zanardi», per cui «Nessun dubbio che il Cesarini abbia meritato il severo provvedimento politico; nessun dubbio che la presenza del Cesarini al "Resto del Carlino" sia incompatibile col Giornale stesso, massimo organo del P.N.F. Resta da vedere se Egli abbia meritato il licenziamento in tronco. Ciò sarebbe meno discutibile se fosse stato espulso; ma il Federale lo ha invece punito col ritiro della tessera, cioè con un provvedimento di grado inferiore». Cesarini perse il posto e non ebbe la liquidazione. Per vivere chiese e ottenne alcuni sussidi al sindacato fascista dei giornalisti. Il 13 marzo 1939 Leati informò Pedrazza che Cesarini era stato riammesso nel PNF. Fu riassunto e non ebbe più problemi. Il 26 luglio 1943 tenne un comizio in piazza Vittorio Emanuele II (oggi piazza Maggiore) per festeggiare la caduta del regime.

Dopo l'8 settembre 1943 fu uno dei pochi giornalisti che non si presentò al giornale, scegliendo di non collaborare con tedeschi e fascisti.

Successivamente decise di attraversare le linee e recarsi nel sud già liberato. Per non lasciare la famiglia in difficoltà, prima di partire chiese però al giornale che gli venisse pagata la liquidazione. L'amministratore Cesare Bondioli gli disse di presentarsi per ritirarla. Sarà la sua trappola. Quando entra al giornale, il 4 gennaio 1944, è arrestato e condotto, sotto scorta di un sergente della brigata nera, al carcere giudiziario di San Giovanni in Monte, dove è immatricolato con il numero 8944, a disposizione prima dell'Ufficio politico della Questura, poi dal 13 gennaio del Tribunale provinciale straordinario, con l'accusa di aver svolto attività antifascista.

Mentre si trova detenuto, tre gappisti bolognesi uccidono il 26 gennaio 1944 in un agguato il federale Eugenio Facchini, riuscendo poi a fuggire. Immediatamente a scopo di rappresaglia sono scelti dieci antifascisti tra quelli già incarcerati a Bologna e Imola, che sono sottoposti ad un sommario giudizio da parte di un "tribunale speciale di guerra" costituito appositamente. Sono emesse condanne a morte carico di Ezio Cesarini, Alfredo e Romeo Bartolini, Alessandro Bianconcini, Cesare Budini, Francesco D'Agostino, Silvio Bonfigli, Zosimo Marinelli e Luigi Missoni (la cui pena fu poi commutata in 30 anni di prigione); Sante Contoli fu condannato a 30 anni di reclusione e più tardi deportato a Mauthausen.

Questa la motivazione ufficiale delle condanne: «Per avere dal 25 luglio 1943 in poi, in territorio del Comando militare regionale, con scritti e con parole, con particolari atteggiamenti consapevoli e volontarie omissioni e con atti idonei ad eccitare gli animi, alimentato in conseguenza l'atmosfera del disordine e della rivolta e determinato gli autori materiali dell'omicidio a compiere il delitto allo scopo di sopprimere nella persona del Caduto [il federale Facchini] il difensore della causa che si combatte per l'indipendenza e l'unità della patria».

Ezio Cesarini è scarcerato «per ritiro» il 26 gennaio 1944 per essere affidato ad «agente di PS» e condotto alla fucilazione al Poligono di tiro cittadino il 27 gennaio 1944 con gli altri sette.

È stato riconosciuto partigiano dall'apposita Commissione regionale, con ciclo operativo  dal 9 settembre 1943 al 27 gennaio 1944.

Gli è stata conferita la medaglia d'argento al valore militare con la seguente motivazione: «Ardente patriota, attivamente ricercato dai nazifascisti, dava prezioso apporto alla causa patriottica, distinguendosi in molteplici circostanze per coraggio, entusiasmo e fattive iniziative. Scoperto ed arrestato a Bologna mentre svolgeva una pericolosa missione affidatagli dal "Centro" di Roma, e condannato a morte per vile rappresaglia, affrontava virilmente il martirio, facendo sereno olocausto della sua vita per il riscatto della Patria e della libertà». Bologna, settembre 1943 - gennaio 1944.

Al suo nome è stata intitolata una strada di Bologna.

Nell'atrio dello stabilimento de "il Resto del Carlino", in via Gramsci, è stata murata una lapide con questa epigrafe: «Ezio Cesarini/ Giornalista/ lottò e morì/ perché l'Italia fosse libera/ Iniqua sentenza/ lo trasse davanti al plotone fascista/ il 29 gennaio 1944/ L'Associazione Stampa Emiliana/ fiera del suo glorioso caduto/ ricorda con lui il pubblicista/ Nino Giovanni Brizzolara / vittima dello stesso odio di parte». Quando il giornale si trasferì in via Mattei, la lapide venne smontata, ma non esposta nella nuova sede.


FONTI PRINCIPALI:

- Dizionario biografico degli Antifascisti di Bologna e provincia

- Registri matricola del carcere di San Giovanni in Monte

Rif: FUCILATO AL POLIGONO-4222



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