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LAVORATORE COATTO

GRANDI LUIGI

Nato il 23 agosto 1927 a Castel del Rio (BO)
Residente a Castel del Rio (BO)
Catturato il 31 maggio 1944 a Castel del Rio (BO)
Luoghi di detenzione: carcere di Prato, Fossoli, Verona, Berlino
Luoghi di lavoro nel Reich: Guben sull'Oder
È sopravvissuto
nessun numero assegnato

Grandi Luigi, nato il 23 agosto 1927 a Castel del Rio (BO); lì residente, in località Palazzo Calderoni di Cantagallo.

È catturato, insieme ad alcune decine di giovani di Castel del Rio, nell'ambito di una operazione organizzata da tedeschi ed esponenti fascisti locali al fine di rastrellare gli uomini delle classi comprese tra il 1914 e il 1927. Un ordine del comando militare germanico datato 29 maggio 1944 a firma del podestà invitava a presentarsi il giorno 31 con i rispettivi documenti militari alla locale casa del fascio per chiarimenti, ma si trattava di un tranello.

Ricorderà Luigi Grandi dopo la guerra (*):

"Il messo comunale giunse lassù la mattina del 29 maggio a consegnarmi questo avviso: di quel periodo ho conservato tutto. Si riunì tutta la famiglia - eravamo in nove - e discutemmo insieme cosa fare. Il primo impulso fu di non presentarmi; ma c'era già mio fratello alla macchia e rischiavo più di altri di provocare una rappresaglia contro la famiglia e la roba di nostra proprietà. lo stesso dubbio lo ebbero anche Angelo e raffaele Monti, Liliano Alpi e renato Vannini dei poderi confinanti. Alla fine, decidemmo di presentarci tutti insieme. Ma Angelo Monti non tornò più a casa".

Una volta presentatisi gli uomini sono trattenuti con la forza nei locali, poi trasferiti al comando tedesco presso Palazzo Alidosi, da dove alle 4 del mattino dell'1 giugno in quarantasette sono inviati dentro quattro camion a Prato, per essere detenuti nel castello, dove già erano stati fatti affluire altri giovani catturati in operazioni analoghe avvenute quasi contemporaneamente in vari paesi dell'Appennino tosco-emiliano orientale. Dopo inutili interventi di famigliari e sacerdoti il 12 giugno sono trasferiti al campo di transito di Fossoli, dove resteranno per un tempo variabile: la maggior parte per pochi giorni, altri fino alla fine di luglio.

"Il campo era immenso - ricorda ancora Luigi grandi - ed era comandato dalle SS naziste. Fino all'8 settembre era stato un campo di concentramento di prigionieri alleati; adesso era il campo di raccolta e di smistamento di tutti gli arrestati sul territorio italiano, diretti in germania, organizzato con l'efficacia tipica della macchina da guerra tedesca: efficienza naturalmente dal loro punto di vista, perchè anche lì per noi ci fu solo fame, paura e trattamento duro da prigionieri. Ci raparono a zero e ci asssegnarono il distintivo dei prigionieri politici: un triangolo rosso col numero sopra, da portare sul petto e sulla coscia, a sinistra. Il mio numero era il 1910 che conservo ancora. Intorno ad un immenso piazzale c'erano una ventina di baracche, ognuna coi servizi al centro; ogni ala conteneva 40-50 prigionieri, coi castelli intorno e i pagliericci sul pavimento, nel mezzo. Dietro le baracche c'era un reticolato alto 4-5 metri con una garitta sopraelevata ogni 300 metri: le guardie erano italiane, ma sparavano lo stesso su chi tentava di scappare. Dietro questo, a qualche decina di metri, c'era un altro reticolato; in quello spazio pascolava un branco di oche allevate dai soldati: due prigionieri che le custodivano, un giorno riuscirono a scappare. Ma le fughe erano difficili e pericolose, lì. Alcuni che furono ripresi, furono fatti passare davanti a tutto il campo schierato, picchiati a sangue ad ogni quadrato di prigionieri e contrassegnati con un cerchio rosso sulla schiena: come al tiro a segno. Un maresciallo nazista ci gridava spesso che di lì si usciva solo morti (...). A Fossoli si mangiava poco e male, ma chi aveva soldi se la cavava: qualcuno riceveva visite e pacchi da casa. Si poteva scrivere ai parenti, ma arrivavano solo le lettere che passavano la censura: ne conservo ancora due, sgrammaticate; ma c'era il cuore. Di quelli del paese, eravamo insieme in pochi e con gli altri ci si vedeva alle adunate per la conta. nel campo c'erano forse più di duemila prigionieri di tutte le regioni e di tutte le condizioni: oltre i politici, c'erano ebrei, zingari, comuni, invertiti, stranieri... C'interrogarono di nuovo e tentarono ancora di farci arruolare nell'esercito repubblicano: ma nessuno si lasciò convincere."

Il suo racconto prosegue:

"Ci portarono via da Fossoli verso la fine di luglio, dopo gli altri, perché mancavano automezzi e vagoni. Con me, di Castel del Rio, c'erano Sisto Righini ed Ettore Pirazzoli, chiamato Pirulì; poi due di Firenzuola, un certo Morini e Ruggero Rontini, ora di Valsalva. A Verona fummo caricati come merce su carri spogli - quelli da muli otto, uomini quaranta - e per due giorni viaggiammo senza sosta sulla linea Mestre-Tarvisio-Klagenfurt-Berlino. Prima della frontiera, a un rallentamento del treno due italiani si buttarono giù in una scarpata; ma due polacchi - deportati come noi - incredibilmente diedero l'allarme e i due furono ripresi. Fame, sete, disagio e tanta tristezza furono i compagni inseparabili di quel lungo viaggio verso un futuro senza speranza. Ma cosa avevamo fatto di male?!. Da Berlino fummo portati a Guben sull'Oder. Lavoravamo otto ore al giorno come operai generici a scavare e a coprire rifugi e a sgomberare macerie presso famiglie. Sveglia molto presto, mangiare poco e sempre patate, un gran freddo l'inverno. Avevo i vestiti estivi di casa con le scarpe rotte; mi diedero solo una tuta leggera e qualche indumento vecchio, i privati. La gente non aveva nessuna considerazione per noi. Il primo giorno di lavoro fui maltrattato dal sorvegliante borghese, perché non impugnavo bene il loro badile con traverso in cima al manico: mi prese per i capelli e per il naso e mi sbatacchiò come un pupazzo. Ai primi di gennaio ci fu un grosso bombardamento russo, poco prima che arrivasse il loro fronte; poi ci trasferirono ad ovest, di notte a piedi, e qualcuno si sbandò. Fummo liberati dagli americani alla fine di aprile in Turingia, fra Nordhausen ed Erfurt, e messi di nuovo in un campo. Italiani, russi, francesi, polacchi...:una gran confusione; ma si mangiava finalmente, anche se male".

NOTE:

(*) La testimonianza è tratta da: Lorenzo Raspanti, Castel del Rio 1944: storia di una deportazione in massa, in Pagine di vita e storia imolesi, Edizioni Cars, Imola 1990, pp. 206-213


FONTI A STAMPA E ARCHIVISTICHE:

– Orazi, La deportazione nel Terzo Reich dall'archivio dell'Aned imolese

– Lorenzo Raspanti, Castel del Rio 1944: storia di una deportazione in massa, in Pagine di vita e storia imolesi, Edizioni Cars, Imola 1990

Rif: LAVORATORE COATTO-3101



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